Oggi Fra’ Priuli, medico dei Fatebenefratelli, riceve il premio «Cuore Amico» con suor Umbertina Carrogu, Andrea Riccardi e don Francesco Cavazzutti. Di Lorenzo Fazzini
La prima volta che è partito per l’Africa aveva solo 23 anni: in tasca un diploma di infermiere generico; nel cuore, il desiderio di missione seguendo lo stile di quel santo – Giovanni di Dio – che fece degli ammalati i padroni della
propria esistenza. Oggi Fiorenzo Priuli, frate dei Fatebenefratelli, riceve il premio Cuore amico, il «Nobel dei missionari», insieme ad altri tre protagonisti dell’annuncio ad gentes: suor Umbertina Carrogu, Andrea Riccardi e don Francesco Cavazzuti.
Fra Priuli, 35 anni di Africa dipinti sulla barba grigia, una Legion d’onore per la sua multiforme attività, consulente dell’Organizzazione mondiale della sanità, non aveva mai pensato che il suo nome iniziasse a circolare in ambienti
di alto profilo sanitario per una possibile, sensazionale scoperta: una cura naturale dell’Aids, una pianta africana che – sembra – riesca a migliorare la vita di chi si scopre sieropositivo. «La piaga dell’Aids è un vero dramma nella
nostra zona», racconta fra Priuli, attivo nel nord del Benin, a Tanguietà, sede dell’ospedale “San Jean de Dieu” dei Fatebenefratelli. «Il 3-4% della popolazione del Benin è sieropositivo; lo è il 30% dei 10mila malati che
visitiamo ogni anno: una vera tragedia».
A questa disgrazia sanitaria fra Priuli oppone una metodologia semplice quanto incredibile: «Usiamo una pianta locale, che diamo ai malati in forma di tisana: si chiama kinkeliba, in termini scientifici Conbretum Micantrum».
Una medicina naturale che fra Fiorenzo ha scoperto in maniera «provvidenziale», dice lui:
«Dal 1989 ho iniziato ad interessarmi ai guaritori e alle loro pratiche naturali: curavo epatite, asma, ipertensioni. Nello stesso periodo una tisana di kinkeliba ebbe effetti incredibili e immediati su una volontaria e suo figlio,
venuti a vivere e lavorare nel nostro ospedale, colpiti da epatite. Il marito, un medico genovese, ha compiuto studi sperimentali sulla pianta e ha scoperto che agisce in maniera positiva sul virus dell’epatite. Alla fine degli anni ’90
la pianta ha dato ottimi risultati anche sull’Hiv».
Il caso, o ancora la Provvidenza, ha fatto incontrare di nuovo il medico genovese con fra Fiorenzo: «Ci siamo ritrovati a Milano con il noto infettivologo Paolo Viganò, abbiamo studiato i risultati e deciso che di somministrare il kenkeliba ai nostri malati di Aids». In contemporanea, su iniziativa del professor Vigano, nasce una onlus per il sostegno alla sperimentazione e per acquistare materiale di laboratorio da spedire a Tanguietà
con lo scopo di provare la veridicità dei risultati sperimentali. «Questa pianta migliora di molto la situazione dei malati sieropositivi, questo è certo – sottolinea fra Fiorenzo -. Ora dobbiamo dare concretezza scientifica a questi
dati empirici: per questo a breve inizierà una collaborazione con l’ing francese Solthis. Ho già l’approvazione scritta dei ministeri della Sanità di Benin e Togo».
Gli effetti positivi che il kenkeliba ha avuto sugli ammalati del “San Jean de Dieu” è comunque un’iniezione di fiducia: «Non so se sarà provato che questa pianta riduce il virus o aumenta l’immunità: so che ridà speranza a tanta gente» ribadisce il frate bresciano che ancora spiega: «L’Aids non è solo un problema di terapia, ma di moralità.
Se il sieropositivo non cambia il proprio stile di vita, la cura non serve e non ha effetto». Secondo fra Fiorenzo, «la Chiesa in Africa, anche rispetto al dramma dell’Aids, ha il compito grande di proporre ideali, di educare le persone e i popoli. C’è bisogno di una testimonianza di vita e di un maggior ricorso alla misericordia di Dio».