Articolo di Sathya Cucco
Quando si pensa a una fiaba si è propensi a evocare un meraviglioso mondo incantato abitato da principesse, cavalieri e creature magiche; a ben vedere però tutti i/le protagonisti/e delle fiabe attraversano drammatiche avventure e solo al termine di esse la loro vita si risolve, una volta per sempre, con la celebre formula del vissero tutti felici e contenti.
Nella Poetica, Aristotele osserva come la trama sia composta da segmenti narrativi ricorsivi: un equilibrio iniziale, una fase di crisi, le peripezie, la lotta per ripristinare l’equilibrio perso e la risoluzione. La fiaba ha un plot che dà cittadinanza a dei personaggi manichei in grado da esaltare i contenuti morali. Tuttavia, la chiave morale è solo una tra le tante possibili interpretazioni: esaminiamo Biancaneve.
Ecco delle annotazioni storiche che sembrano avere delle assonanze con il regno della fantasia da cui prende forma Biancaneve. Alcuni ricercatori e ricercatrici, tra tutti Karl-Heinz Barthels, ipotizzano che questa fiaba non sia solo la combinazione di elementi folkloristici teutonici, ma sia ispirata a una vicenda realmente accaduta. La protagonista sarebbe Maria Sophia Margaretha Catherina von Erthal nata nel 1725 a Lohr, una città della Bassa Franconia; il padre della giovane, rimasto vedovo, si risposò con Claudia Elisabeth von Reichenstein alla quale dona uno specchio dotato di un marchingegno molto sofisticato per l’epoca poiché registra le frasi e le riproduce. Così, sia per l’evocativa estetica architettonica, che per l’ipotesi filologica, il castello von Erthal è diventato un’attrazione turistica.
La captotromanzia — dal greco kátoptron κάτοπτρον specchio — è la tecnica di divinazione a cui ricorre la matrigna; si tratta di una pratica magica molto antica di cui abbiamo traccia già nel periodo ellenistico, quando le maghe della Tessaglia usavano delle lamine di metallo annerito come superficie riflettente. Questo esercizio oracolare è stato adottato anche dalla regina Elisabetta I d’Inghilterra, incoraggiata da John Dee, suo mago di corte.

Castello appartenuto alla famiglia Von Erthal
Walt Disney, già nei primi anni Trenta, raggiunto un buon successo con i cortometraggi, desiderava cimentarsi in un progetto più ambizioso: realizzare un film animato. L’idea iniziale era produrre Alice nel paese delle meraviglie che fu però accantonata per ben due volte: nel 1931, in fase di preproduzione, poiché già la Commonwealth Pictures aveva preceduto la Disney distribuendone una versione; poi nel 1933 quando fu la Paramount ad anticipare l’idea, ingaggiando attori del calibro di Gary Cooper e Cary Grant. Ciononostante, la scelta non fu così automatica, infatti Walt Disney si convinse solo dopo aver visto la versione del 1933 con protagonista Betty Boop, trovando questa trasposizione animata scarna e insoddisfacente. Fu così che si dedicò alla realizzazione di Biancaneve che tenne impegnati gli Studios per ben quattro anni. L’intera storia fu riadattata con strategici tagli narrativi, tra cui i tentativi criminali della matrigna che saranno ridotti a uno soltanto, per cui il soffocamento con il bustino e il pettine avvelenato saranno omessi. Un’altra variazione importante è costituita dai nani: Disney attribuisce a ciascuno di essi un nome in funzione della personalità, mentre nel racconto folkloristico risultano tutti identici.

Walt Disney (1901-1966)
Biancaneve, grazie all’opera cinematografica di Disney, non è semplicemente una fiaba, ma è un autentico pezzo dell’immaginario collettivo dell’Occidente. La trasposizione letteraria dei fratelli Grimm esordisce con la madre di Biancaneve che, cucendo, si punse un dito, tre gocce di sangue caddero sul terreno innevato e fu allora che espresse il desiderio di avere una bambina bianca come la neve, rossa come il sangue e con i capelli neri come l’ebano del telaio. L’aspetto del candore innocente entra in aperto conflitto con il rosso del desiderio sessuale. Secondo Bruno Bettelheim — nel suo saggio Il mondo incantato — tale tensione simbolica rappresenta la condizione necessaria al concepimento, laddove la mestruazione e la rottura dell’imene pongono fine all’infanzia.
Secondo un’altra prospettiva, Biancaneve non sarebbe un personaggio, ma l’incarnazione di un percorso alchemico che culmina nella Grande Opera: cosicché nigreido (nero), albedo (bianco) e rubedo (rosso) sarebbero i momenti topici di questo processo di perfezionamento interiore.
A ogni modo, il canone estetico-morale nella Hollywood anni Trenta rappresentava le bionde come protagoniste positive, mentre le donne più conturbanti e pericolose erano brune; dunque Disney, selezionando Biancaneve, ha sfidato un’iconografia allora consolidata. La fucina filmica statunitense sarà comunque un felice modello per l’autore, per esempio i tratti somatici ed espressivi di Joan Crowford e di Helen Gahagan verranno sintetizzati nell’aspetto della matrigna. Il corpo perfettamente proporzionato è valorizzato dagli abiti ispirati alla regina glaciale in La donna eterna (1935); mentre la postura fiera e ieratica sembra avere per modello la statua della nobildonna Uta di Ballenstedt — per approfondire: Stefano Poggi, La vera storia della Regina di Biancaneve, dalla Selva Turingia a Hollywood.

Joan-Crawford (1908-1977) nel film Montana Moon (1930)

Helen Gahagan (1900-1980) in una scena de La donna eterna (1935)
Il vestito della Regina è viola; probabilmente è a causa della sua complementarità con il giallo — colore luminoso — a rendere il viola particolarmente adatto agli antagonisti. Kandinsky nell’opera Lo spirituale nell’arte (1912) lo definiva un colore ‘malato’ perché assume le sembianze di un rosso consumato e di un blu stinto. Esso, nella tecnica cinematografica, è più appropriato del nero, perché contrasta con gli sfondi cupi. Un altro espediente scenico sono le inquadrature simmetriche dedicate alla Regina, ciò ne enfatizza la bellezza e dà una suggestione di sacralità. Fin quando non si trasforma in strega, ella è sempre all’interno del castello, ha una prossemica solenne come chi, conscio del rango a cui appartiene, sa esercitare magnificamente il potere che ne deriva.

Uta di Bellenstedt

La Regina, matrigna di Biancaneve
Biancaneve, invece, appare sempre in movimento, affaccendata, e sarà la giovane ballerina Marjorie Belcher a posare negli Studios per incarnarne movenze e mimica. Ciò avrà delle conseguenze biografiche sia per il disegnatore Arthur Babbitt, che per la giovane modella: infatti quando la loro relazione, in spregio alle regole degli Studios, sarà scoperta da Disney, i due si sposeranno per evitare di essere licenziati dal progetto. Tuttavia, subito dopo, Disney incaricò Babbitt di occuparsi non più di Biancaneve, ma della Regina, in modo da eliminare eventuali complicazioni.
Secondo la classificazione di Aarne-Thompson questa fiaba è del tipo 709, visto che si caratterizza per la madre gelosa che rivaleggia con la figlia. Nelle dinamiche narrate, coesistono due cornici psicanalitiche che dànno corpo al racconto: da un lato il narcisismo della matrigna e dall’altro il complesso edipico della figlia — aspetti meticolosamente analizzati da Bettelheim. Lo Specchio è un oggetto investito da uno straordinario impulso simbolico: esso dà luogo a una duplicazione in cui il soggetto diviene oggetto e la realtà che vi si riflette è restituita in un’immagine speculare. Lacanianamente, l’immagine riflessa, apparendo una e indivisibile, dà l’illusione di unificare e governare la frammentarietà dell’Io, per questa ragione esso è il trópos dell’identità. Lo Specchio è un personaggio che fa da scarto tra il reale e il fantastico, il conscio e l’inconscio, perciò è magico.
Nel prossimo appuntamento settimanale, metteremo in rilievo gli aspetti che, analogicamente, riguardano una lettura archetipica di quest’opera, non dimenticando che le fiabe sono stratificazioni di un sapere socio-culturale le cui radici si perdono nel torrente del tempo.
Nella seconda parte dell’articolo, metteremo in rilievo gli aspetti che, analogicamente, riguardano una lettura archetipica di quest’opera, non dimenticando che le fiabe sono stratificazioni di un sapere socio-culturale le cui radici si perdono nel torrente del tempo.
Articolo tratto dal sito www.vitaminevaganti.com