Articolo di Sathya Cucco

Mago dello specchio
La scena che apre il lungometraggio Disney mostra la Regina che invoca il Mago dello Specchio affinché le confermi la sua insuperata bellezza; questi, però, la delude, rivelando che ora è Biancaneve la più bella. Che sia garante di una verità oggettiva, o che sia il ventriloquo dei timori della Regina, lo Specchio è metafora espressiva del disturbo narcisistico, perciò il suo responso, nella prospettiva della matrigna, è incontestabile. Chi pone il giudizio estetico come valore primario, rivela una percezione alterata. Si noti che Biancaneve minaccia il primato estetico della matrigna solo quando si scopre capace di destare l’interesse maschile: l’epifania dell’adolescenza si manifesta nell’incontro col Principe. La codificazione scenica raffigura Biancaneve non più circondata dal candore dei fiori bianchi — indizio dell’innocenza infantile —, ma immersa in variopinte infiorescenze.
Il cacciatore è delegato a uccidere la giovane e consegnarne il cuore alla Regina come prova, ma egli ne ha pietà e, avvisandola del pericolo, la fa fuggire nel bosco. È interessante come i personaggi maschili siano ridotti a un fugace corollario del potere femminile, a questo proposito Bruno Bettelheim sostiene che il cacciatore sia la rappresentazione inconscia della figura paterna: infatti, benché asservito alla moglie-Regina, le disubbidisce per amore della bambina.

La Regina invoca il Mago dello specchio
Nella fiaba dei fratelli Grimm la matrigna incarica il cacciatore di portarle il fegato e i polmoni della rivale e, ignara della bugia, se ne ciba credendo siano gli organi della figliastra; antropologicamente il rituale cannibalico ha due scopi: da un lato la scellerata predazione ha un risultato straordinariamente distruttivo; dall’altro permetterebbe di acquisire i poteri e le virtù dell’individuo sconfitto secondo i principi della magia simpatica.
Biancaneve, nella fuga nel bosco, si confronta con i rischi del mondo esterno per poi trovare riparo nella casetta dei nani. I nani sono sette: numero che richiama i giorni della settimana e i pianeti anticamente conosciuti, essi sono la rappresentazione della ciclicità di un tempo sempre identico a sé stesso: il tempo del lavoro. La loro giornata è scandita dall’attività in miniera e dal riposo. Una volta che essi accettano Biancaneve, la mettono in guardia poiché la maligna Regina non si sarebbe rassegnata facilmente, dunque la loro è la voce del disincanto e della responsabilità.
La maliarda matrigna si serve della magia nera per attuare il suo crudele piano. Con un incantesimo si trasforma nel suo alter ego: una vecchia dall’aspetto terrificante; tali sembianze le permettono di tentare Biancaneve con la mela. Un morso avrebbe avverato un desiderio e ciò, seppur con riluttanza, fa cedere la giovane, la quale — addentando il meraviglioso frutto — esprime la volontà di vivere per sempre con il Principe. Morsicata la mela, tuttavia, cade a terra in un sonno perpetuo, solo il bacio del vero amore può riportarla alla vita. Il meccanismo simbolico vuole enfatizzare il senso di responsabilità, lanciando un severo ammonimento alle trasgressioni adolescenziali. Biancaneve rimarrà all’interno della bara di cristallo il tempo necessario per maturare, solo al compimento di questo processo il Principe la trova e la risveglia dal sonno incantato.
La mela è un simbolo denso di significati, tutti collegati direttamente o metonimicamente all’erotismo: è il premio ricevuto da Afrodite per la sua bellezza da cui ebbe luogo il casus belli della guerra di Troia. È la tentazione a cui si abbandona Eva, indotta dal serpente. In Biancaneve è l’oggetto che segna la fine dell’innocenza, ancora una volta il colore rosso ne denuncia la connotazione sessuale. Colgo l’occasione per esporre un’altra spiegazione semiotica di cui Vitamine vaganti è portatrice: il logo ha origine da una crasi grafica, dove una mela e una mina dànno luogo a un’unità esplosiva e nutriente (appunto vita-mine): la sua forza curativa esplode con la deflagrazione del metaforico ordigno. È il pharmakon privato dei suoi effetti collaterali, è un’arma che apre le coscienze.

Biancaneve sta per addentare la mela

Biancaneve
Come spiegato nel precedente articolo, le chiavi di lettura sono due e, benché complementari, possono convivere senza escludersi reciprocamente. Tutta la storia sarebbe espressione del complesso edipico di Biancaneve: la bambina identifica la madre/matrigna come modello di bellezza, ma durante la fase prepuberale sperimenta un senso di gelosia e aspira a prenderne il posto. Tuttavia per un meccanismo censorio del super-Io, questo desiderio inconscio viene trasformato nella convinzione (più accettabile) che sia la madre a provare gelosia per la figlia, mentre il fuggire lontano dalla casa dei genitori risponde all’esigenza di libertà e di indipendenza tipiche dell’adolescenza.
Biancaneve, prendendosi cura dei sette nani e della loro casetta, dimostra una prima capacità di emancipazione, che però non sarà sufficiente a farla uscire dalla sfera d’influenza genitoriale. Infatti la matrigna si presenta sotto le mentite spoglie e con l’inganno neutralizza il percorso di crescita della giovane, sottraendola alla vita per un tempo imprecisato. Biancaneve, cadendo nella trappola, dimostra di non esser ancora in grado provvedere a sé stessa. A conti fatti, è solo col matrimonio che l’azione dell’autorità genitoriale viene meno. Ciò si invera non per ragioni di ordine pratico o sociale, bensì con la consapevolezza che siamo parte di due famiglie: quella d’origine e quella d’unione generativa, ambedue ci sono assegnate dai capricci del destino. Il passaggio dall’una all’altra ci introduce all’età adulta.
Biancaneve attraverso il lavoro, ovvero l’accudimento dei nanetti e della loro casina, si emancipa e guadagna una parziale autonomia; ora, benché si tratti di un lavoro improduttivo, risulta un aspetto interessante dal punto di vista politico, specialmente se messo a paragone con altre fiabe. Cenerentola, ad esempio, risulta una protagonista volitiva, ambiziosa, vanitosa che si emancipa lasciando il lavoro domestico in famiglia. Nella storia, infatti, l’ideale estetico è giusto un pretesto, giacché è lo status sociale la reale motivazione che attiva e produce il noto strascico narrativo.
D’altro canto, si può sviluppare un’esegesi assumendo la prospettiva della Regina, in tal caso bisogna osservare che il conflitto in seno al narcisismo è primariamente interiore, solo quando esso degenera, cagiona i suoi nefasti effetti nella realtà. Il trono della Regina adornato dalla coda di pavone allude al suo eccesso di vanità.
Il crescere della figlia e l’avanzare dell’età della madre risultano due aspetti direttamente proporzionali l’uno all’altro, ma non in relazione tra loro: seppur non esista alcun rapporto causale tra i due fenomeni, lo sbocciare della femminilità di Biancaneve è vissuto dalla matrigna come un presagio della sua vecchiaia.
Il sociologo Christopher Lasch — in La cultura del narcisismo — osserva come nell’èra neoliberista lo scorrere degli anni biografici rappresenti una potenziale minaccia, in quanto rallenta le capacità competitive, e la competizione è dinamica integrante nella cultura del narcisismo. Infatti chiunque desidera essere ammirato per la propria bellezza e per il potere, tuttavia con l’avanzare dell’età tali aspetti subiscono un’erosione. Su questa scorta, la Regina è un magnifico esemplare: orgogliosa e priva di scrupoli, vuole eliminare la sua rivale a qualsiasi costo, al punto da rinunciare alla propria bellezza per raggirare la giovane. Tant’è che all’origine della sua tragica fine non vi sono i nani che la contrattaccano, né tanto meno Biancaneve, semmai è lo smisurato desiderio di controllo a provocarne l’infausta rovina. La severa legge del contrappasso orienta i destini delle due donne: da una parte Biancaneve accelera il processo di realizzazione di sé proprio grazie ai misfatti della matrigna; mentre dall’altra la matrigna, abbrutita dal suo animo spietato, va incontro a un’ingloriosa morte.
La Regina e Biancaneve evidenziano due cànoni estetici tra loro incommensurabili: la prima ha le proporzioni perfette di una donna adulta (la testa è 1/8 del corpo), il suo corpo è valorizzato dal portamento aristocratico, il volto è sensualmente scolpito e gli occhi chiari accentuano uno sguardo austero e superbo. Biancaneve, invece, ha un aspetto ancora acerbo: il suo corpo non è più da bimba e non ancora da fanciulla, le sue gote sono piene, gli occhi grandi e marroni sono vivaci e spalancati sul mondo. Eccetto le labbra rosse — che tradiscono una certa voluttà — le altre caratteristiche sono tutt’altro che erotiche e stimolano perlopiù un impulso epimeletico.
Il corpo femminile è di nuovo oggetto di contesa, non in chiave politica stavolta, ma più che altro morale: la Regina, travolta dalla sua invidia distruttiva, finisce nel trasformarsi in una vegliarda, la perfidia dissoluta rovescia le sorti. L’incantesimo di magia nera non fa altro che manifestare la bruttezza interiore di una donna che, consumata da una sciagurata vanità, è disposta a uccidere pur di mantenere il suo rango estetico.
Nessuna storia esprime con tanta profondità lo statuto della bellezza: essa corrompe ed è corruttibile, è sempre eroticamente situata, per questo non può essere innocente né gratuita. Mai gratuita perché sempre oggetto di contesa. Ma d’altronde se la bellezza diviene misura del mondo o fine ultimo dell’umana esistenza, la pienezza dell’essere si eclissa. È proprio questa prospettiva etica a consacrare la fiaba di Biancaneve.
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Articolo tratto dal sito www.vitaminevaganti.com