Nel nostro ultimo libro – scritto con il professore di fisica Mario Bruschi e Stanislao Nievo – “Le tre anime”, edito dall’Armando, abbiamo cercato di rispondere alle domande formulate dal famoso quadro dipinto da Paul Gauguin: “Da dove veniamo, chi siamo, dove andiamo”.
di Umberto Di Grazia
Le risposte affiorarono, realmente, dalle singole esperienze e furono scritte con sincerità e coraggio nella speranza di avvicinare la vita.
Per il fisico: “Non ci sono dati sufficienti” e precisa, nell’inizio del suo discorso, molto giustamente, che: “Dove andiamo?… come individui, inesorabilmente e inevitabilmente andiamo verso la morte… ma i dati sono insufficienti…!
Dicono che gli animali non possono anticipare, immaginare, pre-rappresentare il futuro cosicché in effetti non sanno niente della morte. L’uomo invece ha questo “dono”, e quindi vive (immagina, sente, anticipa ) la propria morte centinaia, migliaia di volte prima che questa venga davvero…La cosa ironica è che la morte vera, forse non la sperimenteremo mai: come potrebbe testimoniare il signor De Lapisse, anche un secondo prima di morire si è ancora vivi. Alcuni saggi ne hanno dedotto che la morte, essendo una non-esperienza, non è. In tal senso saremmo immortali. La cosa non mi consola… e inoltre i dati sempre più numerosi raccolti recentemente sulle DNE (Near Death Experiences, esperienze di “quasi morte”) ci fanno pensare: dopotutto forse “vivremo” la nostra morte. Questo ci consola: magari vivremo anche dopo la morte. In un nuovo “corpo”, in un nuovo supporto per la nostra coscienza (qualunque essa sia).
Per lo scrittore e per me, detto dal grande poeta Mario Luzi in una presentazione del libro, le nostre esperienze fanno parte inscindibile del nostro “essere viaggiatori” ed in particolare, sul dove andiamo.., : “ … è un quesito che l’uomo si pone da quando ha cominciato a parlare, ad avere un linguaggio. Questo è il punto di partenza di Nievo, che fa coincidere l’esperienza della vita umana con l’origine del linguaggio, con il principio del verbo.
Oggi la nostra grammatica mentale non fa più a pugni, ma non ha messo da parte queste domande, fondamentali per farsi comprendere……… e tutto il suo discorso (Nievo) si concentra sull’esperienza dell’uomo. E la definizione che dà dell’uomo è che noi siamo “l’essere”.
Su Di Grazia e le sue risposte sulle tre domande, dico meno perché il suo campo è meno appellabile. Anche se devo dire che c’è molta affinità tra il mio modo di sentire e il suo.
Abbiamo affidato tutta la responsabilità della conoscenza alla ragione, al sistema razionale. Però la razionalità è sempre in bilico. Io lo sento. E sento che la conoscenza non è solo ragione. Si conosce per tante altre vie, per altre strade.
Certamente questa della razionalità come fondamento di conoscenza è una prerogativa occidentale. Ed è anche la causa della nevrosi dell’uomo moderno perché comporta che una parte dell’uomo è repressa, soffocata. E invece nella prospettiva di Di Grazia viene fuori.”
Ma da dove nasce il mio modo di vedere e di sentire..?
Da esperienze fuori del normale e da quarant’anni di vita spinta al cercare di comprendere ed oggi “sento” che quello che vediamo rappresenta solo una piccola porzione del tutto e che il “morire” è un passaggio di un continuo in perenne trasformazione per il suo stesso miglioramento.
La vita non termina con la trasformazione dell’energia-materia e nulla muore veramente, in particolare le nostre emozioni, lasciano tracce indelebili nel tempo.
A tale proposito Pausania racconta che la battaglia di Maratona fu vista dai viaggiatori in quei luoghi per circa 400 anni; nitriti, rumori e forme erano rimasti fermi in una dimensione simile ad “un presente continuo”. Esempi simili ci sono in varie parti del mondo come non mancano esempi della percezione di una forma trasparente e tridimensionale di noi stessi, visibile in particolari momenti e/o stati d’animo.
Ernest Hemingway in Addio alle armi fa dire ad un tenente ferito:
“Cercai di respirare.. ma il respiro non volle venire e mi sentii scagliato fuori di me e fuori… e fuori e sempre… nel vento.
Andai fuori veloce, tutto me stesso e sapevo che ero morto, e che era stato un errore pensare che ero morto.
Poi galleggiai, e invece di proceder mi sentii scivolare indietro. Il terreno era sconvolto e davanti alla mia testa c’era una trave di legno schiantata.
Nello straordinario…udii qualcuno gridare.
Pensai che qualcuno strillasse…
Cercai di muovermi, ma non potei. Udii le mitragliatrici e i fucili che sparavano al di là del fiume e…tutto lungo il fiume.
Vi era un gran fango e vidi…i traccianti salire ed esplodere o galleggiare bianchi e razzi che salivano e udii le bombe, tutto in un attimo e poi udii qualcuno vicino a me che diceva.
“Mamma mia…! Feci forza e mi torcei e..finalmente.. liberai le gambe e lo toccai.”
Personalmente incominciai nel 1961, in un giorno di quell’agosto.
Non è facile vivere l’esperienza dello “sdoppiamento”, senza una preparazione, vedere cioè una forma simile alla tua, trasparente e tridimensionale, uscire dal proprio corpo fisico, prendere coscienza che non puoi muoverti perché paralizzato, vedere con gli occhi socchiusi e, portando attenzione “all’altro fluttuante”, percepire l’ambiente con un’estensione di 360°! Certamente ne rimasi scosso e non trovai dopo, pur chiedendo in tutte le direzioni, le giuste spiegazioni.
Le poche persone che avevano una reale conoscenza mi dissero, più o meno:” Se devi capire, capirai, lavora costantemente su te stesso.”
Nelle “esperienze fuori dal corpo o dilatazione della coscienza”, tipiche anche degli stati pre-morte, si vive, da subito, il senso di libertà da preoccupazioni e da problemi di ogni tipo. Più si convive “in quello stato”, più affiorano sensazioni assopite di vero benessere e, poco a poco, affiorano conoscenze complete di fatti che, nello stati normali del vivere, si afferrano solo incompleti. E’ come riconoscere il senso del vero profondo, oltre i limiti della dualità e della logica.
Tutte le informazioni precedenti scompaiono per cedere il posto a qualcosa d’altro che, superata la paura, si vive profondamente con sensazioni difficili da raccontare.
Si apprendono sul campo fatti che uniscono, si sente di appartenere ad una struttura più ampia, si è come la cellula di un tutt’uno che si intuisce ma di cui non se ne vedono i confini. Ed è qui che si rovescia la visione negativa e malata della vita.
Assistendo le persone nel loro passaggio di dimensione, comunemente chiamata morte, ho potuto constatare eventi “straordinari” che mi hanno aiutato nella strada del conoscere. Tutto questo è capitato a molti, medici e non, che hanno raccontato esperienze simili ma che hanno timore di dirle: non vogliono essere presi per pazzi.
Una delle costanti è che il “doppio” o involucro trasparente e tridimensionale, che ha le stesse caratteristiche del nostro corpo e, elemento curioso, anche gli stessi vestiti, si stacca dal corpo fisico.
Nell’osservarlo si capisce che è ancora carico d’emozioni umane. Rimane per un po’ intorno alla parte fisica priva di vita, ne cerca un contatto. Si avvicina da vari punti, C’è uno sforzo in questo ed una sorpresa nel “vedersi” in quella situazione. Dopo poco, questione per noi di minuti, si allontana. Chi riesce a “vedere” simili attività possono notare altre costanti. La struttura è molto simile a quella del corpo, può sembrare un calco di paraffina. Il viso presenta solo una differenza nel colore e nella difficile percezione, da parte dei viventi, dei capelli e delle sopracciglia. I piedi non sono visibili e si muove scivolando con esitazione e sorpresa. Si capisce che è ancora impastata e confusa dalle informazioni percepite durante il suo esistere nel nostro visibile. Dopo succede qualcosa. E’ attratta dai segnali che vengono dall’esterno, si guarda intorno, noi possiamo al massimo percepire delle variazioni di buio o luce ma per lei deve trattarsi di un qualcosa di molto più completo. Ad un certo punto, velocemente, come attratta da un magnete, scompare con una traiettoria ben definita dentro ad una superficie densa e stranamente scura.
Nel momento in cui avviene il passaggio tra la vita e la morte, è come se le nostre parti si organizzassero a più livelli e quello che può più facilmente essere “riconosciuto” sono elementi parziali della nostra memoria emozionale e da alcune tracce, sempre create da emozioni, della persona scomparsa.
Quando la coscienza si allontana dalla parte fisica non “comprende” il dolore delle persone vive, le “vede” ma non capisce cosa stiano facendo. Ha uno strano “languore”, sente che è legata ai posti ed alle persone e man mano realizza di essere in una dimensione giusta, la riconosce, come risvegliata da un sogno, e si allontana verso un sistema di viaggio difficile da raccontare per noi “vivi”.
Secondo quello in cui credo, e secondo il mio particolare vivere, man mano che il “nucleo” si allontana da noi, prende coscienza della presenza della propria energia emanata nelle dimensioni del passato e del futuro. E’ come un’astronave che per allontanarsi dalla terra deve dare il massimo della spinta per superare l’attrazione gravitazionale, che nel nostro caso sono le emozioni vissute, per poi raggiungere uno spazio esterno dove basta una piccola spinta energetica per muoversi.
Nello stesso tempo l’astronave, e così il “nucleo”, più si allontanano più hanno la visione del Tutto.
Il “nucleo” prende coscienza delle varie esperienze nella forma da un presente continuo legato alla vita sul nostro pianeta.
La teoria della reincarnazione che considera il tempo con un andamento lineare – esempio: il 1000a.C., 600a.C., 10d.C., 200d.C. – non considera che l’elemento energia è al di fuori di queste teorie ed ha dominio in un Tutto pluridimensionale.
Per chiarire, non mi stupirei se morendo riprendessi coscienza del mio corpo in un’epoca antica, risvegliato dopo un periodo di malessere, dalle carezze di una donna.
Svegliandomi direi: “Che strani sogni ho fatto, ero con persone particolari e c’era anche una donna simile a te.”
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