JONAH LEHRER – Los Angeles Times

Jonah Lehrer, redattore per la rivista Seed, è autore di “Proust Was a Neuroscientist.”

Un ringraziamento a Damien Broderick, PhD.

Fin dagli inizi nei primi anni ’20, la neuroscienza ci ha insegnato moltissimo sul cervello.

Le nostre sensazioni sono state ridotte ad una serie di circuiti specifici. La mente è stata immaginata come pensante a se stessa, con pensieri che possono essere ricondotti alla loro fonte corticale. Le emozioni più inesprimibili sono state tradotte in termini chimici, cosicché l’amore viene definito come una quantità notevole di dopamina e la paura non è altro che un’amigdala agitata. Persino il nostro senso della coscienza è spiegato con riferimento all’oscura proprietà della corteccia frontale. Ne risulta che non c’è niente di intrinsecamente misterioso che riguarda queste 3 libbre di carne raggrinzita all’interno del cranio. Nella macchina non c’è alcun fantasma.

Il successo della moderna neuroscienza rappresenta il trionfo di un metodo: il riduzionismo. La sua premessa è che il modo migliore per risolvere un difficile problema (e il cervello è l’oggetto più complicato nell’universo conosciuto) consiste nello studiarne le parti basilari. In altre parole, la mente è un particolare gioco di sostanze, riducibile alle disumane leggi della fisica.

Tuttavia, il metodo riduzionistico, sebbene abbia avuto un innegabile successo, presenta dei limiti reali. Non tutto può essere ridotto in minuscole particelle. Consideriamo ad esempio la sinfonia di Beethoven. Se la musica fosse ridotta a lunghezze d’onda di aria vibrante, effettivamente capiremmo molto meno la musica. La bellezza impalpabile, l’emozione viscerale, tutto andrebbe perso riducendo il suono a dei semplici dettagli. In altre parole, il riduzionismo esclude buona parte della realtà.

La mente è come la musica. Mentre la neuroscienza descrive accuratamente il nostro cervello in termini di fatti puramente materiali, per cui non siamo nient’altro che un telaio di elettricità ed enzimi, ciò non corrisponde al modo in cui facciamo esperienza del mondo. La nostra coscienza è molto più che la somma delle cellule di cui è composta.

Se la neuroscienza si avvia a risolvere i suoi più grandi problemi, come ad esempio il mistero della coscienza, essa necessita di nuovi metodi in grado di costruire complesse rappresentazioni della mente. Talvolta il tutto è compreso meglio in termini di insieme. William James fu il primo a capirlo. Gli 8 capitoli con cui inizia il suo testo del 1890, “I principi della psicologia,” descrivono la mente in terza persona. Ciononostante, con il capitolo 9, tutto cambia. James apre questa parte, “Il flusso di pensiero,” con un avvertimento: “Adesso lo studio della mente inizia dall’interno.”

Con questa semplice frase, James tentò di spostare il soggetto della psicologia. Egli rinnegò qualunque metodo scientifico che tentasse di scomporre la mente umana in una serie di singoli elementi, che fossero sensazioni o sinapsi. La scienza moderna, tuttavia, non seguì James. Negli anni che seguirono la pubblicazione del suo libro, nacque una “Nuova psicologia” e questa scienza rigorosa non poteva tollerare la vaghezza di James. Erano ora di moda le misure. Gli psicologi si impegnavano a calcolare tutte le cose più banali. Quantificando la coscienza, essi speravano di adeguare la mente alla scienza. Sfortunatamente questo significava definire la mente in termini estremamente limitati. Lo studio dell’esperienza fu bandito dal laboratorio.

Ma è arrivato il momento di tornare all’esperienza. La neuroscienza ha effettivamente investigato le onde sonore, ma non la musica. Per quanto il riduzionismo abbia i suoi impieghi (esso, ad esempio, è di fondamentale importanza per aiutarci a sviluppare nuovi trattamenti farmaceutici per le malattie mentali), esso presenta limiti troppo notevoli per consentirci di rispondere alle nostre più grandi domande. Come scrisse il romanziere Richard Powers, “Se conoscessimo il mondo solo attraverso la sinapsi, come faremmo a conoscere la sinapsi?”

La domanda è come la neuroscienza può andare oltre il riduzionismo. La scienza legittimamente aderisce ad una rigida metodologia, basandosi su dati sperimentali e possibilità di verifica, ma questo metodo potrebbe beneficiare di un’ulteriore serie di input. Ad esempio, gli artisti hanno studiato il mondo dell’esperienza per secoli. Descrivono la mente dall’interno, esprimendo in prosa, poesia e disegno la prospettiva in prima persona. Per quanto un lavoro artistico naturalmente non può sostituire l’esperimento scientifico, l’artista può però aiutare gli scienziati a capire meglio quello che cercano di approfondire. Prima che le cose vengano sezionate, l’artista può aiutare a capire come esse funzionano nel loro insieme.

Virginia Woolf, ad esempio, affermò che il compito del romanziere consiste nell'”esaminare per un attimo una mente normale in un giorno normale … [descrivendo] il modello, apparentemente scollegato e incoerente, che la coscienza segue in ogni visione o incidente.”

In altre parole, ella desiderava descrivere la mente dall’interno, per trasporre in prosa i dettagli della nostra esperienza psicologica. È questo il motivo per cui i suoi romanzi hanno resistito: perché sono veri, perché riescono a cogliere uno strato di realtà che il riduzionismo non può cogliere. Come Noam Chomsky affermò, “È abbastanza possibile, straordinariamente probabile, si potrebbe supporre, che della vita e della personalità avremo da imparare molto più dai romanzi che dalla psicologia scientifica.” In questo senso, l’arte rappresenta un insieme di dati incredibilmente ricco, che fornisce un valido sostegno alla cieca neuroscienza.

Attualmente la neuroscienza sta cercando di andare oltre il riduzionismo. Il progetto Blue Brain, ad esempio, collaborazione tra il Ecole Polytechnique Fédérale di Losanna, in Svizzera e la IBM, sta lavorando alla costruzione di un modello accuratamente biologico del cervello che possa essere utilizzato per simulare l’esperienza su un supercomputer. Henry Markram, ideatore del progetto, mi ha recentemente riferito di essere convinto che il “riduzionismo ha raggiunto il suo culmine 5 anni fa.” Mentre Markram aggiunge che il programma riduzionista non è completo, (egli sostiene che ignoriamo ancora molto del cervello), egli cerca di risolvere un difficile problema, che consiste nel riuscire a capire il modo in cui tutti questi dettagli di cellule sono collegati tra loro. “Il progetto Blue Brain” afferma, “intende mostrare il tutto alle persone.” In altre parole, Markram intende ascoltare la musica.

Un giorno, ci volteremo indietro a guardare la storie della neuroscienza e capiremo che il riduzionismo non era altro che la fase iniziale. Ogni anno, vengono pubblicate nei giornali scientifici decine di migliaia di riviste specializzate di neuroscienza. Il campo è presentato a numerosi nuovi acronimi, sentieri e proteine. Tuttavia, ad un certo punto, tutti questi dettagli cominciano ad avere dei rendimenti decrescenti. Dopo tutto, il paradosso reale del cervello è perché esso somigli molto più alla somma delle sue parti. Come diventa la nostra materia grigia il cinema Technicolor della coscienza? Cos’è che trasforma l’acqua del cervello nel vino della mente? Da dove viene il sé?

Il riduzionismo non è in grado di rispondere a queste domande. Secondo quanto sostiene la neuroscienza, la nostra testa contiene 100 miliardi di cellule elettriche, ma nessuna di esse è noi stessi, ci conosce o si prende cura di noi. Noi non esistiamo. Noi siamo semplicemente un’illusione cognitiva elaborata, un “epifenomeno” della corteccia. Il nostro mistero è smentito.

Naturalmente, tale soluzione scientifica non è molto soddisfacente. Essa limita la neuroscienza ad un’astrazione perfetta, incapace di ridurre l’unica realtà che potremo mai conoscere. A meno che la nostra scienza vada oltre il riduzionismo, essa sarà sempre più distante. La meraviglia del cervello umano è che esso può essere descritto in svariati modi: Noi siamo ciò di cui sono fatti i sogni, ma siamo solo roba. Ciò di cui abbiamo bisogno è una scienza che possa racchiudere entrambi i lati del nostro essere.

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