di Manuela Pompas

Chissà se i nostri progenitori, oltre a trasmetterci attraverso il DNA alcune loro caratteristiche psicosomatiche, scrivono in qualche modo parte del nostro destino. Così perlomeno è accaduto allo scrittore Stanislao Nievo: la sua vita è stata influenzata da un avo famoso, quell’Ippolito autore delle “Confessioni di un italiano”, che morì il 5 marzo 1861 inabissandosi al largo della costa di Sorrento sul vapore “Ercole” su cui si era imbarcato, giovane ufficiale garibaldino, per consegnare dei documenti alle autorità piemontesi.

Stanis è scrittore, poeta, giornalista reporter (sito: stanislaonievo.it), ha creato dei Parchi letterari e in passato ha girato molti documentari e due film (Mal d’Africa e Germania, sette donne a testa), collaborando alle riprese di Mondo cane e Africa addio. Nato a Milano nel ’28 e vissuto a Roma, ha passato lunghi periodi nel castello di Colloredo, colpito nel 1976 dal terremoto del Friuli. “E’ lo stesso che Ippolito, un mito non facile da reggere”, dice “aveva citato nel suo romanzo come il castello di Fratta. Era stupendo, un monumento nazionale con circa 365 locali, uno per ogni giorno dell’anno, di cui 40 appartenenti alla mia famiglia e gli altri a dei cugini.

Ne avevo fatto la sede della Fondazione Ippolito Nievo, riconosciuta da Stato e Unesco, per trasformarlo in una cittadella culturale, con un centro congressi e un museo archeologico.

Per me era un sogno ad occhi aperti. Ci è stato portato via con una legge predatoria, con la scusa che non avevamo i soldi per sistemarlo.

Io ho vissuto proprio nella stanza del mio antenato, un locale enorme, alto sette metri e lungo dieci, dove sono nati anche i miei romanzi. Ippolito è sempre stato per me come un’ombra luminosa, il mio super-Io, rievocato a scuola dai miei professori, che mi ricordavano sempre la mia parentela”.

Cosa volevi diventare, da ragazzo?

“Sognavo di viaggiare. Già durante le vacanze universitarie, non avendo soldi, ho fatto un sacco di lavori soprattutto nei Paesi nordici, che sono molto più civili per gli studenti: sono stato mozzo sulle navi norvegesi, scaricatore, cameriere, insegnante di italiano e a Copenaghen perfino modello. Quando poi sono diventato reporter di viaggi (per i miei servizi ho vinto anche il premio Gambrinus), ho realizzato il mio sogno: per cinquant’anni ho girato il mondo come free-lance, sono stato in Antartide, in Groenlandia e ho girato tutti i continenti, partecipando a spedizioni zoologiche, come sulle coste della Tanzania. Andavo a cercare ogni forma di vita sulla terra, come si comunica con gli animali. Nelle mie spedizioni nell’Oceano Pacifico, in quello Indiano, nell’Atlantico, in Antartide, a Ceylon e nel Madagascar, ho visto la balena azzurra (diventata poi, nel ’90, la protagonista di un mio romanzo) il più grande animale vivente, che prova affetto per i suoi piccoli (sbalorditivi, subito dopo la nascita crescono un chilo ogni venti minuti).Sono diventato amico di un rinoceronte, con il quale comunicavo attraverso carezze e piccoli pugni. Sono stato morso da un pescecane a un alluce e punto da un pesce-scorpione all’isola Aldabra, mi è diventata la mano tutta gonfia. Di solito gli animali non ci fanno del male, come se mi percepissero amico. Per questo amore per la Natura e gli animali sono stato uno dei fondatori del WWF”.

In questi viaggi hai fatto incontri particolari?

In ogni terra ho incontrato degli sciamani, che io chiamo i miei fratelli selvaggi, che spesso mi hanno dato la loro benedizione. Anzi i Pigmei, avendo associato il mio nome, Stanis, al loro dio, Satan, mi consideravano il loro spirito guida. A contatto con i selvaggi sono quasi sempre riuscito a comunicare, a sintonizzarmi con la loro cultura, ballavo anche con loro, accettando di entrare in uno scenario diverso da quello conosciuto. In questo senso sono sempre stato disponibile, malleabile.

I tuoi libri affrontano spesso argomenti esistenziali, spirituali…

La religione è sempre stata una necessità profonda, umana e superiore, e non solo perché ho studiato con i gesuiti a Roma o perché nella mia famiglia ci sono stati cardinali vicari. Per me la prima e l’ultima ricerca è quella di Dio, che c’è e non c’è. Anche se il paradiso deve essere…un po’ noioso, credo che quando la nostra intelligenza sarà completamente a nostra disposizione, entreremo nel Creatore..Però il mio percorso non è tradizionale. Mi sento molto legato alla Terra, ho il senso dell’armonia, e percepisco il senso del sacro nella natura. A volte mi sento in chiesa in un paesaggio dove non ci sono costruzioni umane. Il senso del divino può risvegliarsi in me mentre osservo la savana e di colpo sbucano due leoni. Mi ricordo una volta nell’Antartide: ad un certo punto abbiamo visto due balene nuotare tra gli iceberg per poi passare sotto il nostro canotto. Non ho avuto paura, anzi, mi sembrava uno spettacolo teatrale diretto dall’Altissimo”.

Nei tuoi libri spesso evochi il mistero. Hai avuto mai esperienze paranormali?

“Educato alla razionalità, non ho mai avuto grandi esperienze, se non da bambino e nei sogni. Nella dimensione onirica ho incontrato parenti, personaggi di altre epoche, memorie di altre vite, ma senza possibilità di un riscontro.

Quand’ero piccolo invece avvertivo delle presenze nel castello, sentivo le persiane sbattere e avevo paura, come fossero presenze che si annunciavano. Durante i temporali, nel Friuli molto violenti, vedevo i soffitti illuminarsi di verde, attivando una campo interiore, come se il verde mi aprisse la strada dell’occulto, facendomi contattare altre dimensioni.

Uno strano richiamo, forse una chiamata, mi è arrivato già adulto, il 6 giugno del ’61, mentre stavamo festeggiando il francobollo uscito per l’anniversario dei cent’anni della morte di Nievo: ad un tratto nel castello c’è stato uno strano lampo, quasi un segno della sua presenza, che mi ha spinto ad andare a cercarlo. Da questa ricerca, fatta tra il ‘61 e il ’72, è nato “Il prato in fondo al mare” (premio Campiello). Per ritrovare il relitto della nave su cui è morto il mio avo, affondata in circostanze misteriose, ho seguito una metodologia tecnico-scientifica, consultando archivi, emeroteche. Ma ho seguito anche un percorso paranormale, con l’aiuto di quattro sensitivi, forse i più grandi di allora, l’olandese Gérard Croiset (il cui personaggio è stato interpretato da Paolo Stoppa nel ’73, nello sceneggiato tv “ESP), Gustavo Adolfo Rol, Pasqualina Pezzolla e Maria Gardini”.

Quindi il romanzo è vero, è la storia della tua ricerca.

“Sì, è abbastanza fedele alla realtà, salvo qualche licenza letteraria. Per parlare con Croiset sono andato a casa sua in Olanda, a Enschede, accompagnato dal professor Tenhaeff, titolare della cattedra di parapsicologia dell’università di Utrecht. Croiset, allora sessantenne, era un ricercatore dell’aldilà, un filosofo, sentivi di potergli parlare. Una notte mi disse che sentiva di dover fare una ricerca su mia moglie. “E’ ammalata ai reni”, mi disse dopo aver passato la mano sulla sua foto. Io non lo sapevo, ma era vero, aveva contratto un’infezione alle reni mentre ero in viaggio. Poi disegnò una mappa del fondo del mare, che poi ho riscontrato essere esatta, dove c’era una nave mezza insabbiata, spezzata, disse, per lo scoppio delle caldaie: quando scesi col sommergibile di Capri, trovai qualcosa di molto simile a quello che mi aveva descritto. Nel libro parlo anche di una terza volta, ma è una finzione narrativa: Ho scritto che vedevo il volto di Ippolito Nievo, ma in realtà me lo sono solo immaginato”.

A Torino hai conosciuto anche Rol, forse uno dei più grandi sensitivi italiani.

“Era un uomo aristocratico e credeva di essere la reincarnazione di Napoleone.
Era sicuramente un medium a effetti fisici e psichici notevoli. L’ho incontrato a casa sua, dove gli ho visto fare i suoi giochi con le carte. Me ne faceva scegliere una ed era la carta che aveva già previsto, come se dirigesse mentalmente le mie mani. Io non ho mai messo in dubbio queste facoltà: d’altronde sappiamo che non conosciamo quattro quinti del nostro cervello e i sensitivi sanno evidentemente più cose. Mi disse che il mio antenato era più sensitivo di me, io sono più sensuale. Gli mostrai i disegni di Croiset: “Lei troverà qualcosa di interessante”, mi disse “ma non sarà del suo antenato. Non era un uomo felice, ma era un puro”. In seguito sono stato da un altro medium a effetti fisici, Bruno Lava, dal quale durante una seduta mi sentii afferrare da mani invisibili e rivissi la tragedia dell’Ercole.

E poi c’è stata Pasqualina Pezzolla, di Civitanova Marche

“Pasqualina in trance faceva diagnosi esatte senza aver studiato. Da lei ci sono andato tre volte con la dottoressa Mancini, direttrice del centro italiano di parapsicologia. Mi raccontò che da giovane, prima di scoprire le sue doti, che non sapeva spiegare, aveva molto sofferto. Uno scienziato americano, Charlie Dunbar Broad, mi disse che il cervello dei sensitivi funziona come il nostro e poi, in certi casi, funziona in una dimensione diversa, al di fuori dello spazio-tempo ordinario.

Dopo aver guardato le carte natiche e le foto, cadde in trance, muovendosi sulla sedia come se camminasse per 33 minuti, il tempo per percorrere mentalmente (o con la sua anima?) i 330 chilometri per arrivare a Capri, scendendo in fondo al mare. Non sapeva esattamente dov’era, ma sapeva che era nel luogo giusto. “Non ho incontrato nessuno, c’è come un blocco scuro, acqua e terra e buio, ma non ho visto la morte. C’erano degli uomini sopra lo spessore”, disse la prima volta, proprio come Rol. Dopo aver chiesto una pausa di mezz’ora per riprendere le sue energie, riprese. Vide le persone vive e quelle del passato. Mi chiese: “Francesco chi è?” Era uno annegato con Ippolito. “Mi ha detto che chi cercavo non c’è più”. E non volle andare oltre. Poi, in un incontro successivo, mi disse in quale punto c’era la nave.

Infine, Maria Gardini, che a Roma faceva la sensitiva.

“Era una donna scontrosa, difficile. Guardando le stesse carte, mi disse che il relitto cercato era oltre Sorrento, disfatto, vicino a un’altra nave affondata. “Ma se non ci aiuta lui”, disse “non troveremo niente”. Come se la riuscita della mia ricerca dipendesse dal mio prozio. E in effetti, con mille difficoltà, la nave l’abbiamo ritrovata, anche se non ho potuto recuperarla.

All’inizio, in questa ricerca, sono stato spinto dalla curiosità. Ma poi è stata come un’esplorazione, anche dentro di me. Cercando, ho scoperto che abbiamo più possibilità di quelle che conosciamo”.

Tu neghi neghi di avere esperienze personali. Ma in molti tuoi libri, come in Anima, ci sono echi di viaggi in dimensioni che solo lo spirito conosce.

“Sono proprio echi, che poi razionalmente nego. Ma credo che farò questo viaggio nella prossima vita, in tutto il mondo”.

In ricordo dell’amico Stanislao Nievo vedi anche: Ora, amico Stanislao Nievo, ho saputo” – di Umberto Di Grazia

 

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