dallo SchwartzReport del 27 aprile 2011
traduzione a cura della redazione di www.coscienza.org – Erica Dellago
La crisi alimentare sta acquisendo forza e ha profonde conseguenze geopolitiche. Nessuna delle quali è stata affrontata in modo adeguato. Quindi preparatevi a disastri in tutto il mondo, e ai disordini sociali che la accompagnano. Pensate alle rivolte in Medio Oriente, iniziate proprio come crisi alimentare.
Un ringraziamento a Brando Crespi.
LESTER R. BROWN – ForeignPolicy.com
Negli Stati Uniti, quando i prezzi mondiali del grano aumentano del 75 percento, come si è verificato lo scorso anno, tale aumento si traduce in una differenza di costo di una pagnotta da 2 a forse 2,10 dollari americani.
Se si vive a Nuova Delhi, invece, questi prezzi alle stelle fanno davvero la differenza: il raddoppio del prezzo mondiale del grano in realtà significa che il grano che si porta a casa dal mercato per macinarlo in farina per i chapati costa ben il doppio. E lo stesso vale per il riso. Se il prezzo mondiale del riso raddoppia, così raddoppia il prezzo del riso nel mercato del vostro quartiere a Jakarta. E così fa il costo della ciotola di riso bollito sul tavolo da pranzo di una famiglia indonesiana.
Benvenuti nella nuova economia alimentare del 2011: i prezzi stanno aumentando, ma l’impatto non viene affatto sentito allo stesso modo. Per gli Americani, che spendono meno di un decimo del loro reddito al supermercato, i prezzi altissimi dei prodotti alimentari rilevati quest’anno sono un fastidio, non una calamità. Ma per i 2 miliardi di persone più povere del pianeta, che spendono dal 50 al 70 percento del loro reddito per il cibo, questa impennata nei prezzi può voler dire passare da due pasti al giorno a uno solo. Coloro che sono a mala pena appesi ai gradini più bassi della scala economica globale rischiano di perdere del tutto la presa. Questo può contribuire – e lo fa – a rivoluzioni e disordini.
Già nel 2011, il Food Price Index [in inglese] dell’ONU ha eclissato il suo precedente record mondiale di tutti i tempi; a partire da Marzo è salito per otto mesi consecutivi. Con il raccolto di quest’anno, previsto essere inferiore, con i governi in Medio Oriente e Africa traballanti a seguito delle impennate dei prezzi, e con l’ansia dei mercati che sostengono uno shock dopo l’altro, il cibo è diventato velocemente il motore nascosto della politica mondiale. E crisi come queste diventeranno sempre più comuni. La nuova geopolitica alimentare sembra molto più volubile – e molto più controversa – rispetto al passato. La scarsità è la nuova norma.
Fino a poco tempo fa, improvvise impennate nei prezzi non avevano grande importanza, dato che venivano rapidamente seguite da un ritorno a prezzi relativamente bassi degli alimentari, fatto che ha contribuito a determinare la stabilità politica del tardo 20° secolo in gran parte del globo. Ma ora cause e conseguenze sono infaustamente diverse.
Sotto molti aspetti, questa è una ripresa della crisi alimentare del 2007-2008, che cessò non perché il mondo si sia in qualche modo riunito per risolvere la crisi del grano una volta per tutte, ma perché la Grande Recessione ha temperato la crescita della domanda, anche se le condizioni meteorologiche favorevoli hanno aiutato gli agricoltori a produrre il raccolto di grano più grande mai registrato. Storicamente, le impennate dei prezzi tendevano a essere quasi esclusivamente guidate da condizioni del tempo insolite – un monsone in India, una siccità nell’ex Unione Sovietica, un’ondata di caldo nel Midwest degli Stati Uniti. Tali eventi sono sempre stati distruttivi, ma per fortuna non frequenti. Purtroppo, i rincari dei prezzi di oggi sono causati da trend come la domanda crescente e la crescente difficoltà di aumentare la produzione: nel mezzo, una popolazione in rapida espansione, l’aumento delle temperature che fanno appassire le colture, e pozzi d’irrigazione che inaridiscono.
Ogni notte, alla tavola globale ci sono 219mila persone in più da nutrire.
Ancor più preoccupante, il mondo sta perdendo la sua capacità di attenuare l’effetto della scarsità. In risposta alle impennate di prezzo avute nel passato, gli Stati Uniti, principali produttori mondiali di grano, erano effettivamente in grado di condurre il mondo fuori dalla potenziale catastrofe. Dalla metà del 20° secolo fino al 1995, gli Stati Uniti avevano o eccedenze di grano o terreni agricoli inattivi che potevano essere coltivati per salvare i Paesi in difficoltà. Quando ci fu il monsone indiano nel 1965, ad esempio, l’amministrazione del presidente Lyndon Johnson spedì un quinto del raccolto di grano degli Stati Uniti in India, allontanando con successo la carestia.
Non possiamo più farlo; il cuscino di sicurezza non esiste più.
Ecco perché la crisi alimentare del 2011 è reale, e perché può portare con sé ancor più rivolte per il pane con rivoluzioni politiche. Cosa accadrebbe se i sollevamenti che hanno salutato i dittatori Zine el-Abidine Ben Ali in Tunisia, Hosni Mubarak in Egitto, e Muammar al Qaddafi in Libia (Paese che importa il 90 percento del suo grano) non fossero la fine della storia, bensì il suo inizio? Tenetevi pronti, agricoltori e ministri degli esteri allo stesso modo, per una nuova era in cui la scarsità globale di cibo configurerà sempre più le politiche globali.
Il raddoppio dei prezzi mondiali del grano dagli inizi del 2007 è stato determinato principalmente da due fattori: la crescita accellerata della domanda e la crescente difficoltà di espandere rapidamente la produzione. Il risultato è un mondo che sembra sorprendentemente diverso da quello dell’abbondante economia mondiale del grano del secolo scorso. Come e quale sarà la geopolitica alimentare nella nuova era dominata dalla scarsità? Anche in questa fase iniziale, possiamo vedere almeno le linee generali dell’emergente economia alimentare.
Sul fronte della domanda, gli agricoltori stanno affrontando fonti di pressione crescente. La prima è la crescita della popolazione. Ogni anno gli agricoltori del mondo devono nutrire 80 milioni di persone in più, quasi tutte nei Paesi in via di sviluppo. La popolazione mondiale è quasi raddoppiata dal 1970 e si dirige verso i 9 miliardi entro la metà del secolo. Circa 3 miliardi di persone, nel frattempo, stanno anche cercando di risalire la catena alimentare, consumando più carne, latte e uova. Mentre sempre più famiglie in Cina e altrove, entrando nella classe media, si aspettano di mangiare meglio. Ma come il consumo globale di prodotti di origine animale ad alta intensità di grano sale, sale anche la domanda per una maggiore quantità di mais e soia, necessari ad alimentare tutto il bestiame. (Il consumo di grano per individuo negli Stati Uniti, ad esempio, è quattro volte quello dell’India, dove i granelli vengono convertiti in proteine animali. Per ora.)
Allo stesso tempo gli Stati Uniti, che una volta erano in grado di agire come una sorta di paraurti globale contro raccolti scarsi altrove nel mondo, ora stanno convertendo enormi quantità di grano in combustibile per le auto, anche se il consumo mondiale di grano, che è già a circa 2,2 miliardi di tonnellate metriche annue, sta crescendo a un ritmo accellerato. Un decennio fa, la crescita del consumo è stata di 20 milioni di tonnellate all’anno. Più recentemente è aumentata a 40 milioni di tonnellate ogni anno. Ma la velocità con cui gli Stati Uniti stanno convertendo il grano in etanolo è cresciuta ancor più velocemente. Nel 2010, gli Stati Uniti hanno raccolto quasi 400 milioni di tonnellate di grano, di cui 126 milioni di tonnellate sono andati a distillerie di etanolo (da 16 milioni di tonnellate nel 2000). Questa straordinaria capacità di convertire grano in combustibile significa che il prezzo del grano ora è legato al prezzo del petrolio. Quindi, se il petrolio va a 150 dollari al barile o più, il prezzo del grano lo seguirà nell’aumento, dato che diventa sempre più profittevole convertire il grano in sostituti del petrolio.
E non è solo un fenomeno americano: il Brasile, che distilla l’etanolo dalla canna da zucchero, si posiziona al secondo posto nella graduatoria di produzione dopo gli Stati Uniti, mentre l’obiettivo dell’Unione Europea di ottenere, entro il 2020, il 10 percento della propria energia di trasporto da fonti rinnovabili, soprattutto biocarburanti, sta dirottando la terra dai raccolti alimentari.
Questa non è semplicemente una storia sul boom della domanda di cibo. L’insieme – dalle falde acquifere all’erosione dei suoli e alle conseguenze del riscaldamento globale – segnala che l’approvvigionamento di cibo nel mondo difficilmente potrà tenere il passo con i nostri appetiti collettivamente in crescita. Prendete i cambiamenti climatici: la regola del pollice tra ecologisti del raccolto è che per ogni aumento di 1 grado Celsius della temperatura sopra l’optimum della stagione della crescita, gli agricoltori possono aspettarsi un 10 percento di calo nei rendimenti del grano. Questa relazione è stata confermata anche troppo drammaticamente durante l’ondata di caldo del 2010 in Russia, che ha ridotto quasi del 40 percento il raccolto di grano del Paese.
Mentre le temperature sono in aumento, le falde acquifere sono in calo dato che gli agricoltori sovraestraggono per irrigare. Questo gonfia artificialmente la produzione alimentare nel breve periodo, creando una bolla alimentare che scoppia quando le falde acquifere sono esaurite e l’estrazione si riduce necessariamente al tasso di ricarica. Nell’arida Arabia Saudita, l’irrigazione ha sorprendentemente permesso al Paese di essere autosufficiente per quanto concerne il grano per oltre 20 anni; ora, la produzione di grano è al collasso perché la falda acquifera non ricaricabile che il Paese utilizza per l’irrigazione è ampiamente esaurita. I Sauditi dovranno presto importare tutto il loro grano.
L’Arabia Saudita è solo uno dei circa 18 Paesi con le ”bolle alimentari” basate sull’acqua. Nell’insieme oltre la metà della popolazione mondiale vive in Paesi dove le falde acquifere sono in diminuzione. Il politicamente travagliato Medio Oriente Arabo è la prima regione geografica dove la produzione di grano ha raggiunto il picco e ha iniziato a diminuire a causa della scarsità dell’acqua, anche se le popolazioni continuano a crescere. La produzione di grano è già scesa in Siria e Iraq e potrebbe presto diminuire nello Yemen. Ma le bolle alimentari più grandi sono in India e Cina. In India, dove gli agricoltori hanno perforato circa 20 milioni di pozzi per l’irrigazione, le falde acquifere sono in calo e i pozzi iniziano a prosciugarsi. La Banca Mondiale riporta che 175 milioni di Indiani vengono alimentati con grano prodotto da eccessiva estrazione. In Cina, la sovra estrazione è concentrata nella pianura del Nord, che produce la metà del grano e un terzo del mais cinese. Circa 130 milioni di Cinesi sono attualmente alimentati con una eccessiva estrazione. In che modo questi Paesi potranno compensare le inevitabili carenze, quando le falde acquifere saranno esaurite?
Perfino mentre stiamo prosciugando i nostri pozzi, stiamo anche mal gestendo il nostro suolo, creando nuovi deserti. L’erosione del suolo che risulta dall’eccessiva aratura e dalla cattiva gestione, sta minando di un terzo la produttività delle terre coltivate del mondo. Quanto è grave? Guardate le immagini satellitari che mostrano due enormi nuove bocce di polvere: una si estende attraverso la Cina settentrionale e occidentale e la Mongolia occidentale, l’altra nell’Africa centrale. Wang Tao, un importante studioso cinese del deserto, riferisce che ogni anno circa 1.400 chilometri quadrati di terra nel nord della Cina si trasformano in deserto. In Mongolia e Lesotho, i raccolti di grano si sono ridotti di oltre la metà nel corso degli ultimi decenni. Anche la Corea del Nord e Haiti sono affette da pesanti perdite di suolo; entrambi i Paesi devono affrontare la carestia se perdono gli aiuti alimentari internazionali. La civiltà può sopravvivere alla perdita delle sue riserve petrolifere, ma non può sopravvivere alla perdita delle sue riserve di suolo.
Oltre ai cambiamenti nell’ambiente che rendono sempre più difficile soddisfare la domanda umana, c’è un importante fattore intangibile da considerare: nel corso dell’ultimo mezzo secolo o giù di lì, siamo arrivati a dare per scontati i progressi agricoli. Decennio dopo decennio, la tecnologia che progrediva ha sostenuto guadagni costanti attraverso l’aumento della produttività del suolo. Infatti, la resa in grano per ettaro mondiale è triplicata dal 1950. Ma ora quel periodo sta volgendo al termine nei Paesi agricoli più avanzati, dove gli agricoltori stanno già utilizzando tutte le tecnologie disponibili per aumentare la resa. Di fatto, gli agricoltori si sono ben compresi con gli scienziati. Dopo essere salita per un secolo, la resa per ettaro del riso in Giappone non è più aumentata da 16 anni. In Cina, i rendimenti potrebbero presto livellarsi. Questi due Paesi da soli rappresentano un terzo del raccolto di riso mondiale. Nel frattempo, i rendimenti del grano si sono stabilizzati in Gran Bretagna, Francia e Germania – i tre maggiori produttori di grano dell’Europa Occidentale.
In questa era di restrizione delle forniture alimentari mondiali, la capacità di produrre cibo sta rapidamente diventando una nuova forma di forza geopolitica, e i Paesi stanno lottando per garantire i propri interessi parrocchiali a scapito del bene comune.
I primi segni di difficoltà sono arrivati nel 2007, quando gli agricoltori cominciarono ad avere difficoltà a tenere il passo con la crescita della domanda mondiale di grano. I prezzi di grano e soia iniziarono a salire, triplicandosi a metà del 2008. In risposta, molti Paesi esportatori hanno cercato di controllare l’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari nazionali, limitando le esportazioni. Tra loro c’erano Russia e Argentina, due esportatori leader di grano. Il Vietnam, 2° esportatore di riso, vietò totalmente le esportazioni per diversi mesi all’inizio del 2008. Così fecero molti altri esportatori minori di grano.
Con i Paesi esportatori che limitarono le esportazioni nel 2007 e 2008, i Paesi importatori entrarono nel panico. Non potendo più fare affidamento sul mercato per la fornitura di grano di cui avevano bisogno, diversi Paesi hanno intrapreso una nuova via cercando di negoziare accordi di lungo termine di fornitura di grano con i Paesi esportatori. Le Filippine, ad esempio, hanno negoziato un accordo triennale con il Vietnam per 1,5 milioni di tonnellate di riso all’anno. Una delegazione di Yemeniti si è recata in Australia con un simile obiettivo in mente, ma non ha avuto fortuna. In un mercato di venditori, gli esportatori erano riluttanti ad assumere impegni di lungo termine.
Temendo di non riuscire ad acquistare il grano necessario dal mercato, nel 2008 alcuni dei Paesi più ricchi, guidati dall’Arabia Saudita, Corea del Sud e Cina, hanno preso l’insolita iniziativa di acquistare o affittare terreni in altri Paesi sui quali coltivare grano per loro stessi. La maggior parte di queste acquisizioni territoriali si svolgono in Africa, dove alcuni governi affittano terreni agricoli per meno di 1 dollaro americano per ettaro all’anno. Tra le mete principali c’erano Etiopia e Sudan, Paesi dove milioni di persone sono state sostenute con il cibo del World Food Program delle Nazioni Unite. Che i governi di questi due Paesi siano disposti a vendere terreno a interessi stranieri quando il loro stesso popolo è affamato è una triste nota sulla loro leadership.
A fine 2009, erano stati negoziati centinaia di contratti di acquisizione di terreni, alcuni dei quali superiori a un milione di ettari. Un’analisi del 2010 della Banca Mondiale su questo “accaparramento del suolo” ha riferito che sono stati coinvolti un totale di quasi 140 milioni di acri – un’area che supera i terreni dedicati alla coltivazione di mais e grano insieme negli Stati Uniti. Queste acquisizioni tipicamente coinvolgono i diritti d’acqua, che significa che “l’accaparramento della terra” potenzialmente interessa tutti i Paesi a valle. L’acqua estratta dal bacino superiore del fiume Nilo per irrigare le colture in Etiopia e Sudan, per esempio, ora non raggiungerà l’Egitto, ribaltando la delicata politica delle acque del Nilo con l’aggiunta di nuovi Paesi con cui l’Egitto deve negoziare.
Il potenziale di conflitto – e non solo per l’acqua – è alto. Molti contratti riguardo i terreni sono stati fatti in segreto, e nella maggior parte dei casi il terreno, quando veniva venduto o affittato, era già in uso presso gli abitanti dei villaggi. Spesso coloro che già coltivavano la terra non venivano né consultati né informati dei nuovi accordi. E poiché in genere non ci sono titoli di proprietà formale in molti villaggi dei Paesi in via di sviluppo, gli agricoltori che hanno perso la loro terra hanno avuto poco sostegno per portare i loro casi in tribunale.
Il reporter John Vidal, scrivendo sul Britain’s Observer [in inglese], cita Nyikaw Ochalla della regione di Gambella in Etiopia: “Le società straniere stanno arrivando in gran numero, privando le persone della terra che hanno usato per secoli. Non vi è alcuna consultazione della popolazione indigena. Gli accordi vengono stipulati in gran segreto. L’unica cosa che la gente del luogo vede sono persone che arrivano con un sacco di trattori a invadere le loro terre”.
L’ostilità locale verso questo “accaparramento del suolo” è la regola, non l’eccezione. Nel 2007, quando i prezzi alimentari hanno iniziato a salire, la Cina ha firmato un accordo con le Filippine per affittare 2,5 milioni di acri di terra previsti per colture alimentari, con spedizione al domicilio. Quando la notizia trapelò, l’indignazione pubblica – per lo più agricoltori filippini – costrinse Manila a sospendere l’accordo. Un frastuono simile scosse il Madagascar, dove una ditta sudcoreana, la Daewoo Logistics, aveva perseguito diritti per oltre 3 milioni di acri di terra. Notizie dell’affare aiutarono ad attizzare un furore politico che ha fatto cadere il governo e ha forzato la cancellazione del contratto. In effetti, poche cose causano insurrezioni più del sottrarre terra alla gente. Le macchine agricole vengono facilmente sabotate. Se i campi di grano maturi vengono dati alle fiamme, bruciano rapidamente.
Non solo questi affari sono rischiosi, ma gli investitori stranieri che producono alimenti in un Paese pieno di gente affamata devono affrontare un’altra questione politica, ovvero come ottenere che il grano sia portato fuori dal Paese. Gli abitanti del villaggio, sul punto di morire di fame, consentiranno ai camion carichi di grano di procedere verso le città portuali? Il potenziale d’instabilità politica è alto in quei Paesi dove gli abitanti hanno perso la loro terra e i loro mezzi di sussistenza. Potrebbero facilmente sorgere conflitti tra i Paesi investitori e i Paesi ospitanti.
Queste acquisizioni rappresentano un potenziale investimento in agricoltura nei Paesi in via di sviluppo di ca. 50 miliardi di dollari americani. Ma potrebbero esseri necessari molti anni per realizzare qualsiasi significativa produzione di utili. L’infrastruttura pubblica per l’agricoltura moderna orientata al mercato non esiste ancora nella maggior parte dell’Africa. In alcuni Paesi ci vorranno anni solo per costruire le strade e i porti necessari per importare materiali agricoli come i fertilizzanti e esportare prodotti agricoli. Oltre a ciò, l’agricoltura moderna necessita di una propria infrastruttura: capannoni per le macchine agricole, attrezzature per l’asciugatura del grano, silos, capannoni per lo stoccaggio dei fertilizzanti, impianti di stoccaggio del combustibile, attrezzature per le riparazioni e servizi di manutenzione, attrezzature per la perforazione di pozzi, pompe d’irrigazione, e energia per alimentare le pompe.
In generale, lo sviluppo del suolo acquistato finora sembra muoversi molto lentamente.
Quindi, la domanda è: quanto tutto ciò espanderà la produttività di cibo a livello mondiale? Non lo sappiamo, ma un’analisi della Banca Mondiale indica che solo il 37 percento dei progetti sarà dedicato a prodotti della terra. La maggior parte del terreno acquistato fino ad oggi sarà utilizzato per produrre biocarburanti e altre colture industriali.
Anche se alcuni di questi progetti spingeranno alla fine la produttività del territorio, chi ne beneficierà? Se virtualmente tutto l’input – macchine agricole, fertilizzanti, antiparassitari, sementi – viene importato dall’estero e se tutto l’output viene spedito fuori dal Paese, contribuirà ben poco all’economia del Paese ospitante. Nella migliore delle ipotesi, i locali potranno trovare lavoro come braccianti agricoli, ma nelle lavorazioni altamente meccanizzate, i posti di lavoro saranno pochi. Nel peggiore dei casi, i Paesi impoveriti come il Mozambico e il Sudan saranno lasciati con minor terra e acqua con cui sfamare le loro popolazioni già affamate. Finora “l’accaparramento del suolo” ha contribuito maggiormente a suscitare disordini piuttosto che a espandere la produzione alimentare.
E questo divario Paese ricco – Paese povero potrebbe crescere in modo ancora più pronunciato – e presto. Lo scorso gennaio, una nuova tappa nella corsa tra i Paesi importatori per assicurarsi cibo ha cominciato a farsi largo quando la Corea del Sud, che importa il 70 percento del suo grano, ha annunciato di aver creato un nuovo ente pubblico-privato che sarà responsabile dell’acquisizione di parte di questo grano. Con una sede iniziale a Chicago, il piano è quello di bypassare le grandi imprese del commercio internazionale acquistando grano direttamente dagli agricoltori degli Stati Uniti. Così come i coreani acquisteranno i loro silos di grano, potranno anche sottoscrivere contratti pluriennali di fornitura con gli agricoltori, accettando di acquistare determinati quantitativi di grano, mais o soia a un prezzo fisso.
Gli altri importatori non staranno a guardare mentre la Corea del Sud cerca di accaparrarsi una parte del raccolto degli Stati Uniti prima ancora che arrivi sul mercato. Gli intraprendenti coreani potrebbero presto essere affiancati da Cina, Giappone, Arabia Saudita e altri importatori di primo piano. Anche se l’obiettivo iniziale della Corea del Sud sono gli Stati Uniti, di gran lunga il maggiore esportatore mondiale di grano, potrebbe successivamente prendere in considerazione offerte di intermediazione con Canada, Australia, Argentina, e altri grandi esportatori. Questo sta accadendo proprio mentre la Cina potrebbe essere sul punto di entrare nel mercato degli Stati Uniti come importatore di grano potenzialmente enorme. Con i 1,4 miliardi di consumatori sempre più benestanti della Cina che iniziano a competere con i consumatori degli Stati Uniti per il raccolto di grano degli Stati Uniti, il cibo a buon mercato, visto da molti come un diritto di nascita americano, potrebbe giungere al termine.
Nessuno sa dove e come andrà a finire questa sempre più intensa competizione per le forniture di cibo, ma il mondo sembra allontanarsi dalla cooperazione internazionale che si è evoluta nei decenni post seconda guerra mondiale verso una filosofia del tipo “ogni Paese fa per sé”. Il nazionalismo alimentare può contribuire a garantire forniture alimentari per i singoli Paesi ricchi, ma fa ben poco per migliorare la sicurezza alimentare mondiale. Certamente, i Paesi a basso reddito che ospitano “l’accaparramento del suolo” o importano grano vedranno la loro situazione alimentare deteriorarsi.
Dopo la carneficina delle due guerre mondiali e i passi falsi in economia che hanno portato alla Grande Depressione, i Paesi si sono uniti nel 1945 per creare le Nazioni Unite, rendendosi conto alla fine che nel mondo moderno non possiamo vivere in isolamento, per quanto allettante possa apparire. Il Fondo Monetario Internazionale è stato creato per aiutare a gestire il sistema monetario e promuovere la stabilità e il progresso dell’economia. All’interno del sistema Nazioni Unite, le agenzie specializzate, dalla Organizzazione Mondiale della Sanità alla Food and Agriculture Organization (FAO), svolgono ruoli di primo piano nel mondo di oggi. Tutto ciò ha favorito la cooperazione internazionale.
Ma mentre la FAO raccoglie e analizza i dati agricoli globali e fornisce assistenza tecnica, non esiste alcuna associazione organizzata al fine di garantire l’adeguatezza delle forniture alimentari mondiali. Di fatto, fino a poco tempo fa, la maggior parte dei negoziati internazionali nel commercio agricolo erano focalizzati sull’accesso ai mercati, con Stati Uniti, Canada, Australia, e Argentina che facevano insistentemente pressione a Europa e Giappone affinchè aprissero i loro mercati agricoli altamente protetti. Ma nel primo decennio di questo secolo, la questione primaria è diventata l’accesso alle forniture, visto che il mondo sta passando da un’era di eccedenze alimentari a una nuova politica di scarsità del cibo. Allo stesso tempo, il programma di aiuto alimentare statunitense che in passato si occupava di parare minacce di carestia ovunque si presentassero, è stato ampiamente sostituito dal World Food Program delle Nazioni Unite (WFP), dove gli Stati Uniti sono il principale donatore. Il WFP gestisce attività di assistenza alimentare in circa 70 Paesi e ha un budget annuale di 4 miliardi di dollari americani. A parte questo, c’è ben poco coordinamento internazionale. Il Presidente francese Nicolas Sarkozy – presidente in carica del G-20 – sta proponendo di far fronte all’aumento dei prezzi dei generi alimentari, frenando la speculazione sui mercati delle materie prime. Per quanto utile possa essere, tratta i sintomi della crescente incertezza alimentare, ma non le cause, quali la crescita demografica e i cambiamenti climatici. In questa fase, il mondo ha bisogno di focalizzarsi non solo sulla politica agricola, ma su una struttura che sia in grado di integrarla con l’energia, la popolazione e le politiche delle acque, ciascuna delle quali influisce direttamente sulla sicurezza alimentare.
Ma questo non sta accadendo. Al contrario, come terra e acqua diventano sempre più scarse, come la temperatura della Terra aumenta, e come la sicurezza alimentare mondiale peggiora, sta emergendo una pericolosa geopolitica di scarsità alimentare. L’accaparrarsi di terra, l’accaparrarsi di acqua, e l’acquisto di grano direttamente dagli agricoltori dei Paesi esportatori sono ormai parte integrante di una lotta di potere globale per la sicurezza alimentare.
Con scorte di grano ridotte e con l’aumento della mutevolezza climatica, i rsichi sono addirittura in aumento. L’equilibrio è talmente precario, che un crollo nel sistema alimentare può verificarsi in qualsiasi momento. Considerate ad esempio, cosa avrebbe potuto accadere se l’ondata di caldo del 2010 su Mosca fosse invece stata su Chicago. Arrotondando, il calo del 40 percento in Russia sul raccolto sperato di circa 100 milioni di tonnellate costa al mondo 40 milioni di tonnellate di grano, ma un calo del 40 percento nel ben più grande raccolto degli Stati Uniti di 400 milioni di tonnellate sarebbe costato 160 milioni di tonnellate.
Le scorte mondiali delle rimanenze di grano (la quantità nei depositi all’inizio del nuovo raccolto) sembrano scese a soli 52 giorni di consumo. Questo livello sarebbe non solo il più basso mai registrato, ma anche ben al di sotto delle rimanenze di 62 giorni che posero le basi per il triplicarsi dei prezzi del grano nel mondo nel 2007-2008.
E poi? Ci sarebbe il caos nei mercati mondiali di grano. I prezzi del grano salirebbero oltre le tabelle. Alcuni Paesi esportatori di grano, cercando di contenere i prezzi alimentari interni, limiterebbero o addirittura vieterebbero le esportazioni, come avvenne nel 2007 e 2008. I notiziari TV sarebbero dominati non dalle centinaia di incendi nella campagna russa, ma da immagini di rivolte per il cibo nei Paesi a basso reddito importatori di grano e da relazioni sui governi caduti non appena la fame dilaga fuori controllo. I Paesi esportatori di petrolio che importano grano cercherebbero di barattare l’olio per il grano, e gli importatori a basso reddito di grano sarebbero perdenti. Con il rovesciamento dei governi e la fiducia nel mercato mondiale del grano in frantumi, l’economia globale inizierebbe a svelarsi.
Potremmo non essere sempre così fortunati. La questione ora è se il mondo riesce ad andare al di là del focalizzarsi sui sintomi del deteriorarsi della situazione alimentare e riesce invece ad attaccare le cause sottostanti. Se non siamo in grado di produrre raccolti più elevati con meno acqua e conservare i suoli fertili, molte aree agricole cesseranno di essere utilizzabili. E questo va ben al di là degli agricoltori.
Se non riusciamo a muoverci velocemente per stabilizzare il clima, potremmo non essere in grado di evitare l’impennata dei prezzi alimentari.
Se non siamo in grado di accellerare il passaggio a famiglie più piccole e stabilizzare la popolazione mondiale il più presto possibile, le file degli affamati quasi certamente continueranno a espandersi.
Il tempo di agire è ora – prima che la crisi alimentare del 2011 diventi la nuova normalità.