La Ricerca del Pensiero Perduto

La Ricerca del Pensiero Perduto

Per chi cerca nella gesta dell’uomo del futuro l’emergere di un modo nuovo di intendere la vita che non sia soltanto ricerca spasmodica di conquiste, il senso della vita diviene la più urgente delle domande a cui l’uomo moderno deve rispondere.
Il mito di Sisifo nelle parole di Albert Camus è un sostegno per coloro che sono alla ricerca della propria identità, che vogliono trascende quell’inquietudine che accompagna ogni giorno l’uomo perduto in un mondo di passatempi.

Se nel tempo abbiamo acquisito l’istruzione adeguata a vivere nel mondo, si è persa l’importanza di educare l’uomo alla vita. Educare alla vita è rendersi responsabili del proprio destino, coscienti del posto che abbiamo nel mondo, indipendentemente dalla collocazione che l’uomo tenta di dare a se stesso.
Bisogna imparare a pensare in una società dove regna l’assenza di pensiero.

L’assenza di pensiero distrugge l’uomo nell’intimo, costringendo la sua coscienza ad un silenzio che svuota l’anima nella sua essenza. Lo scopo di imparare a “pensare bene” è quello di “diventare coscienti”.

Quando si vive in un contesto che non apprezza la capacità di pensare e di autodeterminare la propria esistenza ci vuole coraggio per essere se stessi e pensare in maniera autonoma. Quando non pensiamo da soli siamo facili prede di chi ci vuole manipolare e controllare. Troveremo, quindi, ogni giorno sempre qualcuno che ci convincerà che le nostre idee o il nostro modo di intendere la vita è sbagliato perché “gli altri”, la maggioranza del mondo, è protesa altrove.
Incontreremo tanta gente pronta dirci “tu pensi troppo”, solo perché certe domande scuotono le fondamenta su cui poggiano le nostre esistenze.

Eppure, molti di noi si avventurano ogni giorno nelle strade del mondo con addosso quell’inquietudine che priva lo spirito del sonno necessario. Si fa strada fino a diventare stanchezza e noia nei confronti di una vita automatica.
Finché un giorno sorge il dubbio: “perché?”.

E’ nel silenzio del cuore che la coscienza si prepara al risveglio. E’ come un verme che scava silenziosamente, che si fa strada finché non trova la luce.
E’  in quel momento che ci si imbatte in quell’assurdo che per Camus è la naturale condizione umana.

“Prediamo l’abitudine di vivere prima di quella di pensare”. Cominciare a pensare è quindi cominciare ad essere minati.

“Tutti noi precipitiamo ogni giorno di più verso la morte”.

Alla luce del nostro mortale destino tutto appare inutile.

Il percorso che porta a capire se esiste una logica fino alla morte può intrappolare lo spirito in una ragnatela senza speranza. Ma per Camus non è la vita ad essere assurda quanto l’ostinata convinzione dell’uomo di ridurre tutto in termini umani, di imprimere il suo suggello su ogni cosa, legati all’idea dell’uomo padrone del mondo non abbiamo mai accettato di essere solo una parte di esso.

“Tutta la nostra scienza, la nostra intelligenza, possono afferrare i fenomeni del mondo ma mai comprendere il mondo”.

L’uomo che fugge di fronte alla sua esistenza, che si affanna mosso da un violento desiderio di sicurezza, di sentirsi unico e con uno scopo, alimenta solo il suo desiderio di conquista.

E’ l’uomo che ha deciso di non sapere perché l’assurdo umilia la sua esistenza.
E’ l’uomo che si rifugia dentro strutture sociali per placare la sua angoscia.
E’ l’uomo che si rifiuta di vedere oltre.

Nell’“uomo assurdo” c’è l’uomo che si ricongiunge alla vita e si spoglia delle sue paure.

“Le categorie che spiegano tutto”, dice Camus, “le ragioni universali, la fede, la morale, fanno ridere l’uomo che ragiona onestamente”.

L’uomo assurdo non scappa, non fugge. Affronta con coraggio il destino che gli appartiene perché è capace di sopportare che “ciò che non si comprende non è senza ragione”.

“Tutti i giorni della nostra vita siamo portati dal tempo” intrappolati nelle nostre esistenze, ma “arriva il giorno in cui siamo noi a dover portare il tempo”.

L’uomo assurdo, presa coscienza di sé, rifiuta i principi tranquillizzanti e impara a vedere il mondo diversamente, ad essere attento, a dirigere la propria coscienza, rifiuta di essere schiavo dei propri pensieri.
Lo spirito uscito così allo scoperto deve trovare la sua conclusione.

L’uomo assurdo sceglie la vita senza essere disonesto con sé stesso.

Qui si colloca Sisifo e il suo mito tragico, Sisifo incarna l’eroe assurdo.

Vedo l’uomo costretto per l’eternità a trasportare l’enorme pietra sulla cima della montagna, vederla precipitare, ridiscende pian pian lungo la montagna e ricominciare lo stesso cammino.
Dove si consuma la tragedia? Milioni di uomini ogni giorno salgono e scendono migliaia di volte dalla montagna, ma l’uomo di questo mondo non conosce la sua miserevole condizione e continua il suo inesorabile supplizio senza rendersi conto del suo tormento.
E’ la coscienza che crea la tragedia, ma solo attraverso di essa l’uomo trova la sua libertà.
E’ nel momento in cui Sisifo lascia la cima della montagna e si immerge poco a poco nella discesa che si consuma il suo dolore. Una discesa senza speranza, perché sa che il masso cadrà mille volte ancora davanti ai suoi occhi e lui dovrà obbedire al suo destino percorrendo la discesa.

Nell’universo selvaggio e sconfinato l’uomo appare nella sua umile limitatezza.
Solo l’uomo che trova il coraggio di elevare la propria coscienza al di sopra del suo destino, che contempla il suo tormento, ritorna verso la propria vita.
Egli diventa più forte del suo macigno e trascende il suo destino, diventa di nuovo padrone dei suoi giorni.

Il macigno rotola ancora, ma ogni lenta e inesorabile discesa diventa il destino da lui creato.

Sisifo ci insegna allora che “la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo, bisogna allora immaginare Sisifo felice” e più forte del suo macigno sublima l’assurdo.

Anonimo. Ritrovato nei nostri archivi


Guarda qui il video creato da Alberto Lori 


Leggi anche >> Le storie dell’uomo e della donna che sorreggono l’arcobaleno

Iscriviti alla nostra Newsletter

30 Articoli più visti