dallo SchwartzReport del 18 giugno 2010
Atul Gawande ha tenuto il discorso di laurea alla Stanford School of Medicine la settimana scorsa, ed ecco cosa ha detto ai neolaureati.
Atul Gawande diventò giornalista del The New Yorker nel 1998. Come chirurgo, ha completato la sua specializzazione in chirurgia al Brigham and Women Hospital di Boston nel 2003, e si è unito alla facoltà in qualità di chirurgo di medicina generale ed endocrinologia.
E’ anche professore associato di chirurgia alla Harvard Medical School, professore associato presso il Department of Health Policy presso la Harvard School of Public Health, e direttore associato del B.W.H. Center for Surgery and Public Health.
ATUL GAWANDE – The New Yorker
Molti di voi hanno lavorato per quattro anni pieni – o cinque, o sei, o nove – e siamo qui per dichiarare ufficialmente che, da oggi, ne sapete abbastanza da essere riconosciuti come laureati della Stanford School of Medicine. Siete Dottori in Medicina, Dottori in Filosofia, Master in Scienze. E’ certificato. Ognuno di voi è ormai un esperto. Congratulazioni.
Allora perchè – nel profondo del vostro cuore – non vi sentite così sicuri?
La formazione medica e scientifica è un’esperienza di grande cambiamento. E’ come trasferirsi in un nuovo paese: all’inizio, non si conosce la lingua, figuriamoci gli usi e i concetti. Ma poi, quasi impercettibilmente, questo cambia. Metà delle parole che ora usate abitualmente, quando avete cominciato non sapevate neppure esistessero: parole come emogas arterioso, sonda nasogastrica, microapparato, regressione logistica, recettori NMDA, velluvial matrix.
Ok, l’ultima l’ho inventata io. Ma “velluvial matrix” suona come qualcosa che dovreste conoscere, non vi sembra? E questo è il problema. Vi confido un piccolo segreto: non bisogna mai smettere di chiedersi se esiste una velluvial matrix di cui dovremmo essere a conoscenza.
Da quando mi sono laureato in medicina, la mia famiglia e gli amici hanno avuto la loro dose di problemi di salute, proprio come succederà a voi e alla vostra famiglia. E inevitabilmente si rivolgono al laureato in medicina di casa per consigli e spiegazioni.
Ricordo quando un amico si rivolse a me dicendo “Sei un dottore adesso, allora dimmi: dove si trova esattamente il plesso solare?”.
Ero perplesso. L’informazione non si trovava in nessun libro di testo.
“Non lo so”, ammisi infine.
“Che razza di medico sei?”, mi rispose.
Non mi sentii molto meglio quando mia moglie ebbe due aborti spontanei, o quando il nostro primo figlio nacque con una parte di aorta mancante, o quando mia figlia cadde e si slogò un gomito, e io non seppi diagnosticarlo, o quando mia moglie si strappò un legamento del polso di cui non avevo mai sentito parlare – la sua velluvial matrix, suppongo che fosse.
Si tratta di un problema più profondo e più fondamentale di quanto siamo disposti ad ammettere. La verità è che il volume e la complessità delle conoscenze che abbiamo bisogno di padroneggiare sono cresciute in modo esponenziale ben oltre le nostre capacità individuali, e cosa ancora peggiore, il timore è che sia cresciuta oltre quelle sociali. Quando si parla dell’esplosione incontrollabile dei costi dell’assistenza sanitaria in America per esempio – del fatto che noi in medicina stiamo gradualmente facendo fallire il Paese – non stiamo parlando di un problema che ha radici nell’economia, ma di un problema che ha radici nella complessità scientifica.
Mezzo secolo fa, la medicina non era né costosa né efficace. Da allora, tuttavia, la scienza ha combattuto la nostra ignoranza: ha elencato e identificato, secondo il sistema internazionale di classificazione delle malattie, più di 13.600 diagnosi – 13.600 modi diversi in cui i nostri corpi possono guastarsi. E per ciascuno abbiamo scoperto rimedi benefici – rimedi che possono ridurre la sofferenza, estendere la vita, e a volte fermare completamente la malattia. Ma tali rimedi ora includono più di seimila farmaci e quattromila procedimenti medici e chirurgici. Il nostro lavoro nel campo della medicina è quello di assicurarci che tutta questa capacità sia distribuita, città per città, nel modo giusto al momento giusto, senza danni o sprechi di risorse, per ogni persona in vita. E facciamo fatica. Non c’è industria al mondo con 13.600 diverse linee di servizio da soddisfare.
Non c’è da stupirsi che non li abbiate compresi tutti alla perfezione. Nessuno mai potrà farlo. Per questo noi, come medici e scienziati, siamo andati sempre più specializzandoci. Se non posso gestire 13.600 diagnosi, bè, forse ce ne sono cinquanta che posso trattare – o solo una sulla quale focalizzare la mia ricerca. Il risultato, tuttavia, è che ci ritroviamo ad essere specialisti, preoccupati quasi esclusivamente della nostra particolare nicchia, e non della questione più ampia: rendere, come gruppo, l’intero sistema di cura migliore per le persone. Penso che siamo stati ingannati dalla penicillina. Quando, nel 1929, fu scoperta la penicillina, si pensò che il trattamento della malattia potesse essere semplice: un’iniezione che poteva miracolosamente curare una gamma incredibile di malattie infettive… allo stesso modo poteva esisterne una per il cancro e un’altra per le malattie cardiache. Ci fece credere che la scoperta fosse stata l’unica parte difficile, mentre l’esecuzione sarebbe stata semplice.
Ma questo non poteva essere più lontano dal vero. Diagnosi e trattamenti della maggior parte delle condizioni richiedono passaggi e considerazioni complessi, e spesso più persone e tecnologie. Il risultato è che oltre il quaranta per cento dei pazienti con malattie comuni come l’ictus, l’asma o problemi alle arterie coronariche, nelle nostre comunità ricevono cure incomplete o inadeguate. E il Paese sta lottando duramente con i costi. Entro la fine del decennio, con l’attuale tasso di crescita dei costi, il prezzo di un piano assicurativo famigliare salirà a 27mila dollari US. L’assistenza sanitaria passerà dal dieci al diciassette per cento del costo del lavoro per le imprese, e i salari dei lavoratori avranno una caduta. I budget dello Stato dovranno raddoppiare per mantenere i programmi sanitari attuali. E poi c’è lo spaventoso debito federale che dovremo affrontare: entro il 2025, dovremo più denaro di quello che la nostra economia produce. Una parte dice che il problema sono le spese di guerra, l’altra dice che è il piano di salvataggio economico… ma togliete entrambi, e non avrete quasi nessuna differenza. Il nostro problema di deficit – di gran lunga – è il costo crescente e apparentemente inarrestabile dell’assistenza sanitaria.
Noi in medicina abbiamo assistito a tutto questo con perplessità, a volte con indifferenza. ‘Questo è il prezzo di una medicina efficiente’, siamo tentati di dire. Ma ignoreremmo l’evidenza, perché l’assistenza sanitaria non è praticata allo stesso modo in tutto il paese: c’è una notevole differenza nei costi e nella qualità. Due comunità nello stesso stato con gli stessi livelli di povertà e salute possono differenziarsi di oltre il 50 percento nei loro costi medici. C’è una curva di Bell per costo e qualità, ed è frustrante – ma anche promettente, perché quelli che ottengono i risultati migliori – gli ospedali e i dottori sono all’apice della curva per risultati sui pazienti – non sono i più costosi, anzi, a volte sono tra i più bassi.
Come nella politica, tutta la medicina è locale, e richiede che i sistemi – le persone e le tecnologie – funzionino con successo. Tra le nostre più profonde difficoltà c’è quella di farli lavorare insieme. Se voglio dare ai miei pazienti la miglior assistenza possibile, non devo solo fare un buon lavoro, ma un intero insieme di diversi fattori devono in qualche modo incastrarsi in maniera efficiente.
Avere elementi eccellenti non è sufficiente. In medicina siamo stati ossessionati dall’avere i farmaci migliori, gli strumenti migliori, i migliori specialisti – ma abbiamo prestato poca attenzione a come farli incastrare al meglio. Don Berwick, dell’Istituto per il Miglioramento dell’Assistenza Sanitaria, ha sottolineato come questo approccio sia errato. ‘Chiunque se ne intenda di sistemi comprenderà immediatamente che ottimizzare le parti non è il percorso più giusto se si mira all’eccellenza dello stesso’, dice, suggerendo come esempio un famoso esperimento di pensiero in cui si tenta di costruire la migliore macchina del mondo assemblando i migliori pezzi automobilistici del mondo. Uniamo il motore di una Ferrari, i freni di una Porsche, le sospensioni di una BMW, la carrozzeria di una Volvo: ‘Quello che otteniamo, naturalmente, è niente di più lontano da una macchina eccezionale; ci ritroviamo con un’accozzaglia di costosi rottami.’ Tuttavia è esattamente quello che abbiamo fatto in medicina.
All’inizio di quest’anno, ho ricevuto una lettera da un paziente di nome Duane Smith. Aveva 34 anni ed era assistente manager di un negozio di alimentari quando ebbe un terribile incidente frontale che lo lasciò con gamba, bacino e braccio rotti, due polmoni collassati, e un’emorragia interna incontrollata. I membri del gruppo di traumatologia del suo ospedale furono rapidi ad agire: stabilizzarono la gamba e il bacino fratturati, inserirono tubi in entrambi i lati del suo petto per riespandere i polmoni, gli fecero una trasfusione e lo portarono in sala operatoria abbastanza velocemente da rimuovere la milza rotta che era la fonte della sua emorragia. Ebbe bisogno di terapia intensiva e tre settimane di ricovero ospedaliero per superare tutto questo. I medici fecero quasi ogni cosa nel modo giusto. Smith mi disse che ad oggi è profondamente grato alle persone che lo salvarono.
Ma dimenticarono un piccolo passaggio. Si dimenticarono di somministrargli i vaccini di cui ogni paziente al quale venga rimossa la milza ha bisogno, vaccini contro i tre batteri che la milza combatte. Forse i chirurghi pensarono che i medici della terapia intensiva avrebbero pensato a dare i vaccini, e forse i medici della terapia intensiva pensarono che quelli del primo intervento glieli avrebbero dati, e forse questi ultimi pensarono che i chirurghi lo avessero già fatto. O forse tutti loro si dimenticarono. Qualunque sia stato il caso, due anni dopo, Duane Smith era in vacanza su una spiaggia quando prese una normale infezione da streptococco. Non avendo ricevuto quei vaccini, l’infezione si diffuse rapidamente nel suo corpo. Sopravvisse – ma questo gli costò tutte le dita di mani e piedi. Fu, come riassunse nel suo scritto, la peggior vacanza che si possa immaginare.
Quando la macchina di Duane Smith ebbe l’incidente, egli ricevette assistenza da persone efficienti e motivate, che avevano ogni tecnologia possibile, ma non un effettivo sistema di assistenza. E quel che è dannatamente peggio è che nessuno ha imparato nulla da Duane Smith, perché da allora la stessa identica cosa è capitata a Boston, con una conclusione anche peggiore. Infatti, scommetterei che in questo paese probabilmente il passaggio basilare e meno attraente della vaccinazione venga saltato in metà dei pazienti che subiscono la rimozione della milza in situazioni d’emergenza.
Perché tutti ricevono un’assistenza subottimale? Dopotutto la società non potrebbe averci dato persone con più talento, più dedizione, e più preparazione di quelle che la scienza medica ci offre – come voi. La risposta penso che sia nel fatto che non abbiamo affrontato la questione di come la complessità della scienza abbia cambiato fondamentalmente la medicina. Questa non può più essere una professione di artigiani che preparino individualmente i piani di cura per qualsiasi paziente si presenti alla porta. Dobbiamo essere più come ingegneri che costruiscono un meccanismo le cui parti si incastrino di fatto insieme, i cui lavori sono messi a punto con ancor più precisione e raffinati per una prestazione sempre migliore nel fornire assistenza e benessere agli esseri umani.
Arrivate nella medicina e nella scienza in un momento di radicale transizione. Avete incontrato i vecchi dottori e scienziati che dicono agli intervistatori che non sceglierebbero la loro professione se gli venisse offerta la possibilità di ricominciare tutto daccapo. Ma voi siete la generazione che è stata abbastanza saggia da ignorarli: perché quello che state ascoltando è il dolore di persone che stanno assistendo a una totale trasformazione del loro mondo. Ai dottori e agli scienziati ora viene chiesto di accettare una nuova comprensione di quello che la grande medicina richiede. Non è soltanto la concentrazione di un singolo artigiano-specialista, per quanto capace e attento, e non è soltanto la scoperta di un nuovo farmaco o operazione, per quanto efficaci possano sembrare in un caso isolato. La grande medicina richiede l’innovazione di interi pacchetti di assistenza – con farmaci, tecnologie e medici a cui viene richiesto di incastrarsi perfettamente, controllati con attenzione, continuamente corretti, e offerti alle persone per fornire un servizio e risultati sempre migliori al minor costo possibile per la società.
Quando sei malato, questo è quello che vorresti dalla medicina. Quando sei uno che paga le tasse, questo è quello che vorresti dalla medicina. E quando sei un dottore o uno scienziato medico questo è il lavoro che vuoi fare. E’ un lavoro con un pacchetto di valori diverso da quelli che la medicina ha avuto tradizionalmente: valori di lavoro di squadra anziché di autonomia individuale, di aspirazione al procedimento corretto anziché alla giusta tecnologia, e, forse soprattutto, di umiltà – perché abbiamo bisogno di umiltà per riconoscere che, in condizioni di difficoltà, nessuna tecnologia sarà infallibile. Come nemmeno nessun individuo lo sarà. C’è sempre una “velluvial matrix” da conoscere.
State per far parte di una professione speciale. Dottori e scienziati, siamo tutti nel business della sopravvivenza, ma siamo anche in quello della mortalità. I nostri successi saranno sempre limitati dai confini della conoscenza e della capacità umana, dall’inevitabilità della sofferenza e della morte. Il senso viene da ognuno di noi quando troviamo il modo di aiutare le persone e le comunità a fare la maggior parte di ciò che è conosciuto, e a farcela con quello che non lo è.
Per questo avrete bisogno della scienza come dell’arte. Avrete bisogno dell’innovazione quanto dell’ambizione.
E avrete bisogno di umiltà.