di Marisa Menna

L’ape non è un animale domestico e neppure selvatico,
ma qualcosa di intermedio,

una creatura capace di contrarre rapporti con l’uomo
senza perdere la propria libertà;

o comunque restando sempre in condizioni di riprendersela.
Plinio, Historia naturalis

ApiL’ape ha un valore altamente simbolico e lo deve principalmente alla sua laboriosità. E’ presente non solo in natura ma anche nella mitologia, nell’araldica, nell’arte, nelle diverse tradizioni e società.
Il volenteroso animaletto è paragonabile alla formica ma collegata a un piano più elevato grazie alla presenza delle ali e al suo lavoro: la trasformazione del polline in miele.
La sua simbologia deriva dal suo istinto di collaborazione, aiuto reciproco e di destino comune. Tutto è fondato sulla sua meticolosità e sull’organizzazione del suo alveare. Viene raffigurata come simbolo di saggezza, operosità lavorativa, dolcezza e purezza.

Vivendo in gruppo, l’ape è testimone dell’organizzazione in società e dell’obbedienza a un capo ed è uno dei motivi per cui è stata scelta come emblema da molti re, capi e sacerdoti. L’ape infatti organizza il suo alveare come uno stato.
Le api domestiche costituiscono le società animali più studiate e ammirate per diversi motivi.
Da sempre sono una società matriarcale e all’interno di ogni colonia sono presenti tre caste: una regina (presente in ogni alveare e unica femmina fertile), le femmine operaie (sostengono e difendono la colonia e sono sterili) e i fuchi (i maschi destinati esclusivamente alla riproduzione).
Il loro riposo invernale era paragonato alla morte e la loro ricomparsa nei periodi primaverili alla vita. Per questo da sempre sono considerate un simbolo di rinascita.

Al frutto del loro lavoro è attribuito un grande valore. Il miele anticamente non serviva solamente come dolcificante e fermentante ma anche per realizzare farmaci; la cera ad esempio era utilizzata per fabbricare candele e in Egitto nella mummificazione delle salme.

L’ape impollinatrice più antica della storia è stata scoperta in Birmania. Il fossile ha sbalordito i ricercatori per la presenza al suo interno di polline e parassiti. L’ape è stata infatti rinvenuta in un blocco di ambra fossile di 100 milioni di anni. L’incredibile reperto è stato recuperato nel cuore di una miniera situata nella valle di Hukawng, nello stato di Kachin della Birmania (o Myanmar).

La prima testimonianza sull’importanza dell’ape e sui rapporti che la legano all’uomo risale a ben 9.000 anni fa, nel Neolitico. Sulle pareti di una grotta della Spagna, precisamente a Cueva de la Araña, sono raffigurati un nido di api e un cacciatore di miele.

E’ dimostrato che proprio in Egitto l’apicultura esisteva già intorno al 2.600 a.c. e l’ape era il simbolo geroglifico della regalità. Paragonata all’anima, si riteneva che riportasse in vita il defunto qualora entrasse nella sua bocca. “Il dio Ra pianse, le lacrime scesero dai suoi occhi caddero a terra e si trasformarono in api. Le api fecero il loro alveare e si operarono con i fiori di ogni pianta per produrre miele e cera. Così anche il miele e la cera d’api fuoriuscirono dalle lacrime di Ra”. Questa iscrizione proveniente da un antico papiro egiziano (Salt 825) ci racconta di come gli Egizi credevano che le lacrime generate dal pianto del dio sole Ra si trasformassero in api mentre colpivano la terra e di come il miele e la cera erano stati associati alle lacrime del dio.

Dalle pitture tombali sappiamo inoltre che gli apicoltori non indossavano alcun equipaggiamento protettivo, ma nella TT100, la tomba di Rekhmira, Visir della XVIII dinastia, vi è la rappresentazione di un apicoltore in possesso di un turibolo d’incenso. Sappiamo che con il fumo le api si calmano, si abbassano verso il terreno e cambiano il loro comportamento, così come sappiamo che l’uso dell’affumicatore era necessario per estrarre il miele. Visto che consideravano le api il dono di Ra, la fumigazione era anche un’offerta d’incenso da fare alle api per onorare il dio.

Albrecht Dürer rappresentò Cupido in fuga inseguito da uno sciame d’api, British museum

Nella tradizione greco-romana le sacerdotesse di Eleusi erano chiamate “le Api”. Presso i Celti, i Germani e i Greci il miele veniva utilizzato per la preparazione dell’idromele (uno dei fermentati più antichi al mondo), dell’ambrosia (bevanda sacra) o della cera che entra nella composizione dei ceri, oggetti rituali e sacri.
Nella tradizione musulmana rappresenta l’ingegno per l’organizzazione meticolosa della sua attività. E’ un essere generoso per i doni che elargisce all’uomo.

L’infaticabilità delle api divenne un modello esemplare anche per le comunità cristiane: Sant’Ambrogio paragonò la Chiesa all’alveare. Nella Francia Imperiale era associata a nobiltà e ricchezza.
P. Waring cita una superstizione scozzese secondo la quale un’ape che vola intorno alla culla di un bambino addormentato indica che egli avrà una vita fortunata.
Frazer precisa che il ruolo della cera che l’ape produce è usata come agente di collegamento per fabbricare bambole o figurine per fare sortilegi.
L’aspetto contrastante dell’ape è dovuto al pungiglione. La sua puntura non è offensiva ma difensiva, toglie all’insetto ogni possibilità di uccidere il nemico o di nuocere per questo è anche simbolo di coraggio e forza. Perde la sua vita per uno scopo difensivo.

L’ape, definita da Plinio nel suo Historia naturalis “neque mansueti, neque feri” non è un animale domestico e neppure selvatico ma qualcosa di intermedio, una creatura capace di contrarre rapporti con noi senza perdere la propria libertà.
Anche nei sogni ha una forte simbologia. Sognare un’ape simboleggia la solerzia, l’amore per l’ordine e la capacità di adattamento e impegno a favore della collettività. Questo atteggiamento può portare all’abnegazione e a non trascurare i propri bisogni.

Secondo i testi antichi, che si basavano sul significato mistico delle api, esse predicono in genere felicità e successo come ricompensa per la diligenza con cui si è svolto il proprio lavoro. La puntura di un’ape segnala una nuova conoscenza o una relazione amorosa.

Caratteristiche fisiche e organizzazione

Le api formano da sempre una società matriarcale. All’interno di ogni colonia troviamo tre caste:

1 – La regina. E’ presente in ogni alveare ed è l’unica femmina fertile.
L’ape regina nasce da un uovo fecondato alimentato per tutta la durata della fase larvale unicamente dalla pappa reale e deposto in una particolare cella a forma di ghianda detta “cella reale”. La funzione dell’ape regina nell’alveare è quella di accoppiarsi e di deporre un paio di migliaia di uova al giorno. La regina si accoppia con i fuchi una sola volta ed è in grado di immagazzinare tutto il loro sperma e conservarlo per tutta la sua vita.
Dal punto di vista genetico è identica alle operaie in ogni aspetto.

2 – Le api operaie. Hanno molteplici compiti, sostengono e difendono la colonia. Nascono da uova fecondate e vengono poi alimentate con pappa reale nei primi tre giorni di vita e con miele e polline nei successivi. Dalla deposizione alla comparsa delle giovani api trascorrono circa tre settimane. I loro compiti si differenziano in base all’età. Si dedicano alla pulizia e alla preparazione delle celle che accoglieranno le uova deposte dalla regina. Dal quarto giorno iniziano a sorvegliare e nutrire la covata e per questo motivo prendono il nome di nutrici. Si occupano prima delle larve più anziane fornendo loro miele, polline e acqua, poi, con lo sviluppo delle ghiandole ipofaringee che producono pappa reale, si occupano delle larve più giovani e di quelle reali.
Dal decimo al sedicesimo giorno entrano in funzione le ghiandole ceripare e iniziano ad occuparsi dei lavori di costruzione e riparazione dei favi. A circa venti giorni dalla nascita si dedicano alla difesa della comunità e fino alla fine della loro vita alla raccolta del cibo nei campi, assumendo la funzione di api bottinatrici

3 – I fuchi. Sono i maschi delle api. Il fuco nasce da uova non fecondate mentre le api di sesso femminile nascono da uova fecondate. Le operaie si prendono cura di loro già dallo stato larvale, fino alla fase adulta. Generalmente nascono quando la regina è al secondo anno di vita o da api operaie che iniziano a deporre uova. La funzione dei fuchi non è solo quella di accoppiarsi con le regine, ma anche di contribuire alla vita della colonia. Sono infatti utili nella produzione di calore e alla distribuzione del cibo all’interno dell’arnia. A fine estate quando non sono più di alcuna utilità, i fuchi ancora presenti nell’alveare, vengono cacciati all’esterno o addirittura uccisi dalle api operaie.

Le Antenne
Un’attenzione particolare meritano le antenne delle api che possono definirsi come l’organo più importante. Grazie alle due antenne sono in grado di utilizzare la maggior parte dei loro sensi: i sensori presenti all’interno di queste due piccole sporgenze sono molti. Non solo permettono loro di orientarsi ma anche di avere indicazioni relative alla temperatura, all’umidità e molto altro ancora.

Le api inoltre si orientano grazie alla posizione del sole e le antenne hanno la capacità di rilevare la luce polarizzata. All’interno di queste piccole strutture si concentra un’infinità di sensi e percezioni. Esse fungono da orecchie, da narici e sono in grado di rilevare informazioni particolari come la presenza di anidride carbonica nell’aria, elettricità, vibrazioni e tastare tutte le superfici o gli oggetti che ha bisogno di analizzare.

Ogni antenna è in grado di muoversi in maniera molto pratica quasi paragonabile al movimento delle nostre dita. Fondamentali per comunicare con gli altri componenti del gruppo svolgono il loro compito anche in luoghi buoi come l’arnia. E’ solo grazie al loro tatto che riescono a costruire gli esagoni incredibilmente precisi delle cellette. Rudolf Steiner nella terza conferenza – Dornach, 1 dicembre 1923 Miele e Quarzo scrive: “L’ape vola fuori dall’alveare, raccoglie il miele, lo elabora nel proprio corpo e ne fa quello che sono le sue forze vitali. Ma poi produce la cera, e che cosa ne fa? Ne fa delle celle esagonali. Ecco, vedete, la Terra fa dei cristalli di silice esagonali, l’ape delle celle esagonali”.

Osservando le antenne con un microscopio a scansione elettronica appaiono migliaia di sensilli che sono di tipo tattili, olfattori, termorecettori, igrorecettori.

Il campo di visione delle api è ristretto verso il rosso e amplificato verso l’ultravioletto (invisibile all’occhio umano) ed è considerato un vero e proprio colore.
Le ghiandole ipofaringee sono parte del sistema digestivo e sono responsabili della produzione di pappa reale e della sintesi di enzimi (amilasi, glucosio ossidasi ecc..) importanti per la trasformazione del nettare in miele (Huang et al., 1989; Costa e Cruz-Landim 1999).
L’attività delle ghiandole varia con l’età delle api e con la stagione e le dimensioni cambiano in funzione del lavoro che sono chiamate a svolgere. I risultati dello studio della dott.ssa Valeria Di Maio, conferma quanto riportato in letteratura.

Un’ape avrebbe in media 2 milioni di neuroni per ogni milligrammo di cervello. Le api eccellono nell’elaborazione delle informazioni visive, cosa che permette loro di volare velocemente evitando ostacoli fissi e mobili.

Hanno una capacità mentale maggiore di moltissimi altri insetti, abilità motorie più complesse, necessarie per volare, la capacità di imparare dai propri errori, cosa assolutamente non scontata, e raffinate abilità sociali. Sono inoltre capaci di comunicare fra loro utilizzando un linguaggio simbolico, una sorta di danza con cui segnalano alle compagne le rotte da seguire e la presenza di fiori ricchi di polline.

Indipendentemente dalla densità neuronale, le api e i loro simili sono in grado di svolgere compiti estremamente elaborati e di imparare gesti complessi. In alcuni esperimenti condotti dalla Queen Mary University di Londra alcuni bombi, insetti della stessa famiglia delle api, hanno imparato a spostare una pallina in un buco per ottenere del cibo.

Si tratta di un comportamento nuovo che non esiste in natura, ma gli insetti hanno rapidamente collegato il gesto con la possibilità di ottenere del nettare. I bombi si sono dimostrati abilissimi nell’apprendimento sociale: i bombi già capaci di compiere il gesto lo mostravano ai compagni.

La ricerca ha evidenziato alcuni aspetti interessanti: ad esempio se si utilizzavano più palline, i bombi sceglievano sempre quella più vicina al buco, dimostrando che non si affidavano alla casualità.

Per quanto riguarda l’organizzazione sociale delle api ogni colonia è caratterizzata da una società matriarcale, monoginica e pluriannuale.
All’interno delle colonie vi è una precisa ripartizione dei compiti che garantisce lo sviluppo e il sostentamento della famiglia e a realizzare comportamenti di difesa sociale nei confronti delle aggressioni esterne. Ecco perché viene definita animale eusociale, caratteristica che si raggiunge con la sovrapposizione nell’alveare di più generazioni e con la divisione riproduttiva del lavoro tra le caste.

Superorganismo Ape.

La definizione di superorganismo è usata principalmente per descrivere un gruppo di insetti eusociali, in cui la divisione del lavoro è altamente specializzata e in cui ogni individuo non è in grado di sopravvivere da solo per periodi prolungati. Il termine super organismo fu coniato da William Morton Wheeler (1928) per indicare le società di insetti che possiedono caratteristiche organizzative analoghe ai processi fisiologici degli organismi superiori. Questi includono anche le api da miele.
Secondo la definizione di Wilson e Sober è “un insieme di singoli individui che raggruppati posseggono l’organizzazione funzionale che è implicita nella definizione formale di organismo”.

La colonia di api si comporta e ragiona come un unico essere vivente. L’unione in questo caso fa davvero la forza, è sorprendente ad esempio che la capacità cognitiva e di apprendimento di un alveare superi quella di organismi più evoluti come alcuni vertebrati.

Un gruppo di ricercatori ha pubblicato su Scientific Reports lo studio Psychophysical Laws and the Superorganism. La ricerca anglo-italiana, condotta da ricercatori dell’Università di Sheffield e dell’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione (Istc) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr), ha infatti scoperto, grazie a un modello matematico, che le api (Apis mellifera) reagiscono all’unisono agli stimoli ambientali, proprio come fanno i nostri neuroni cerebrali.
Gli studiosi hanno utilizzato un modello matematico della sciamatura che ha rilevato delle corrispondenze con i meccanismi neurali alla base della cognizione e che potrebbe dunque favorire la comprensione dei meccanismi alla base del comportamento umano.

“Uno sciame di api può essere considerato un super-organismo composto da migliaia di insetti che rispondono all’unisono a stimoli esterni – ha spiegato Vito Trianni, ricercatore dell’Istc-Cnr e coautore dello studio – come i neuroni del cervello reagiscono alle sollecitazioni che provengono dall’ambiente. Le api decidono collettivamente il luogo dove costruire l’alveare e per raggiungere questo obiettivo fanno uso di segnali complessi che permettono di attrarre altre api verso nidi di qualità elevata o di inibire il reclutamento, per alternative di bassa qualità – ha rivelato il ricercatore dell’Istc-Cnr. – Questi segnali sono simili a quelli trasmessi tra popolazioni di neuroni durante i processi decisionali tra più alternative”.

Fondamentali le considerazioni presenti nel libro “Le Api” Rudolf Steiner:

“L’ape, dopo aver trasformato il proprio nutrimento in cera mediante la propria interiorità corporea, perché la cera è un suo prodotto originale, si costruisce un piccolo recipiente per deporvi le uova e anche per conservarvi le provviste. Vorrei far osservare che questo piccolo recipiente è molto singolare: visto dall’alto appare esagonale.

Come mai l’ape, per istinto, costruisce una cella formata così artisticamente, la gente in genere risponde: è così perché lo spazio sia ben utilizzato. Ed è vero, perché qualunque altra forma di cella darebbe luogo a degli interstizi. Con questa forma non si crea alcun interstizio, e tutte le parti si connettono fra loro, così che lo spazio nel favo è tutto utilizzato. Questo è certo una delle ragioni, ma non la sola; perciò si deve riflettere sul fatto che quando il vermetto, la larva, è dentro, vi è del tutto isolato e non si deve credere che ciò che esiste in un qualsiasi modo in natura non abbia in sé delle forze.

Quella cella a sei facce, esattamente esagonale, ha delle forze in sé, e sarebbe assai diverso se la larva stesse invece in una sfera. Che essa si trovi in una dimora esaedrica ha in natura un significato del tutto speciale. La larva stessa riceve queste forme in sé e nel suo corpo, così da avvertire più tardi che nella sua gioventù, quando era molle, era stata in una tale cella esagonale. Per mezzo delle medesime forze che vi ha assorbito, trae poi quella per costruire più tardi una cella simile. Là dentro stanno le energie mediante le quali l’ape lavora. Cioè, nell’ambiente sta quello che l’ape opera esteriormente. Questa è la prima cosa cui dobbiamo prestare attenzione. Le celle per regina non hanno la forma esagonale, sono una specie di sacco e ve ne sono molto poche nell’arnia.

Dunque si deve dire: le operaie e i fuchi (cioè i maschi) si sviluppano in tali celle esaedriche, mentre la regina si sviluppa in un sacco, senza aver riguardo a un ambiente sfaccettato. Ma c’è dell’altro: la regina necessita per il suo completo sviluppo, per essere pronta come regina adulta, solamente di sedici giorni. Allora è una regina adulta.

Un’ape operaia richiede circa ventun giorni, dunque di più. Se ne potrebbe dedurre che la natura si prenda molto più cura nel procreare le operaie che le regine”.

L’ape indaffarata non ha tempo per rattristarsi.
William Blake

I prodotti dell’alveare

Il Polline
Il polline è l’elemento fecondatore dei fiori. È contenuto negli stami dei fiori ed è composto da granuli piccolissimi. Proviene dal raccolto dalle api che, passando di fiore in fiore, favoriscono l’impollinazione. Le api dopo aver raccolto il polline con le loro zampe posteriori, munite di un apposito appiglio, impastano i granuli con la pappa reale, il nettare e la saliva, formano delle sferette che sistemano in apposite strutture, dette cestelle, e lo portano nell’alveare.

Questo elemento nell’alveare ha un ruolo fondamentale per la nutrizione delle larve fonte di proteine, lipidi e sali minerali, che possono così svilupparsi completamente per la metamorfosi. Per questo motivo viene chiamato anche “pane delle api”.
Secondo vari ricercatori, il polline è infatti un alimento completo e prezioso anche per l’uomo, ad ogni età, poiché contiene molte sostanze energetiche, nutritive e terapeutiche. Rientra nei superalimenti o biofarmaci e il suo consumo è in continua crescita.

Si parla di polline nella Bibbia e in altri testi religiosi cinesi e egizi. Per lungo tempo gli antichi, quale Ippocrate, Plinio il Vecchio e Pitagora lo hanno consigliato nei loro scritti per le sue proprietà.
Negli ultimi anni, diverse ricerche scientifiche hanno dato ragione ad alcuni degli usi tradizionali medicinali ed alimentari e il numero di lavori scientifici riguardanti il polline per le sue proprietà salutari è aumentato fortemente.

Ogni granello di polline contiene:
– acqua in percentuale che varia dal 12 al 20%;
– proteine (in media il 20%), la maggior parte sotto forma di aminoacidi tra cui molti di essi rientrano nella categoria degli aminoacidi essenziali;
– zuccheri in quantità del 15% (glucosio e fruttosio);
– lipidi (circa il 5%, contenuto variabile), la maggior parte dei quali acidi grassi essenziali: omega, omega 6 e monoinsaturi e saturi;
– sali minerali: potassio, silicio, ferro, magnesio, zolfo, cloro, calcio, manganese, fosforo, rame;
– vitamine del gruppo B e vitamine A, C, D, E, K, PP;
– enzimi, coenzimi, ormoni di crescita (estrogeni, androgeni, acetilcolina e altre sostanze ad attività antibiotica), pigmenti come carotinoidi, antocianine, ecc.

Si utilizza nella medicina naturale da tempo immemore poiché in esso sono contenute quasi tutte le sostanze necessarie allo sviluppo e alla crescita di un organismo.
Il consumo delle palline di polline avviene masticandole lentamente e accuratamente o diluendolo con una bevanda tiepida. Il polline può essere consumato anche miscelato con del miele, della confettura oppure con dello yogurt.
Il momento più opportuno per consumarlo è al mattino a digiuno, prima della colazione.
È raccomandato durante le convalescenze, agli anemici, ai bambini, agli anziani, agli inappetenti, alle gestanti e allattanti e in caso di affaticamento fisico e psichico.

Presso gli indiani americani era impiegato come alimento soprattutto nei periodi di carestia.
L’utilizzo non era però solamente alimentare, difatti si usava anche in alcune cerimonie religiose.

Gli effetti che si ottengono con un regolare consumo di polline sono dovuti soprattutto alla presenza di proteine, aminoacidi, vitamine, elementi oligominerali e di un glucoside che aumenta la resistenza dei capillari sanguigni, facilita la coagulazione del sangue, impedisce le emorragie, esplica azione positiva sull’attività del miocardio e nella protezione delle attività prostatiche (Pinzauti e Frediani, 2005). Se ne consiglia l’uso a bambini e anziani e nei casi di inappetenza o spossatezza psico-fisica.

La cera d’api
Le api producono da sole il loro materiale da costruzione. Grazie alla cera che producono costruiscono le strutture interne all’alveare.

La cera viene prodotta a partire da una trasformazione degli zuccheri contenuti nel miele. Piccole scagliette di cera vengono trasudate da aperture addominali, prelevate con le zampette, portate alle mandibole dove vengono masticate per ammorbidirle e poter essere modellate. Le api, per costruire la struttura di un favo in condizioni naturali si agganciano l’una all’altra con le zampette, creando delle vere e proprie impalcature.

Le sue caratteristiche hanno permesso che venisse utilizzata in una grande varietà di ambiti: dalla fabbricazione di candele alla scultura, al trattamento del legno e diversi tipi delle superfici, come sostanza portante in cosmesi e farmaceutica.

Un papiro compilato in Egitto nel 1550 avanti Cristo (il Papiro Ebers) nomina la cera in 32 ricette, tutte per uso esterno, dove la cera fa da sostanza portante insieme a una varietà di altri ingredienti, quali resina, mirra, grasso di bue.
Le indicazioni vanno dall’estrazione di spine alle bruciature, ferite, o come lenitivo per le articolazioni e l’irrigidimento.

Ippocrate considerato il padre della Medicina ne consigliava applicazioni sulla nuca nel caso di amigdalite purulenta. Plinio il Vecchio in “Naturalis Historia” parla della cera sia per uso esterno che interno definendola “emolliente, riscaldante e rigenerativa della carne”; la migliore sarebbe la più fresca.

Galeno mise a punto una ricetta che è a tutt’oggi la base delle “cold creams”: olio d’oliva, cera d’api e acqua di rosa: il “Ceratum Galeni” e Avicenna la prescrisse come stimolante della lattazione nelle donne e per la cura di tossi persistenti.

Nel “ricettario dei segreti” del principe fiorentino Antonio De Medici la cera ha una parte notevole nella composizione sia di unguenti sia dei cosiddetti “cerotti”, applicazioni emollienti o medicamentose in cui veniva inserita una varietà di ingredienti a seconda dell’indicazione curativa: bruciature, contusioni, piaghe e ferite, fratture, calli, sciatica.

Oggi la cera viene usata per le sue proprietà cicatrizzanti, antiinfiammatorie, per ascessi, bruciature, screpolature, in impiastri caldi per artrosi e affezioni reumatiche e alcuni tipi di nevralgie, per facilitare il transito intestinale, per rinforzare le medicazioni periodontali.

Viene utilizzata per prendere lo stampo dei denti nella realizzazione di protesi dentarie, entra nella composizione di supposte e dà alle pastiglie il loro aspetto liscio e lucido.
In cosmesi ha un’azione soprattutto sulla pelle delicata, pulisce l’epidermide e nutre la pelle. La troviamo anche nelle creme struccanti e emollienti, nelle creme da massaggio e in molti altri cosmetici.

La Propoli
Aristotele nella sua “Historia Animalium” cita la propoli come rimedio per le affezioni della pelle e delle piaghe. Plinio ne scrive in modo esteso nella sua “Naturalis Historia”, anche Galeno ne descrive le proprietà. Gli Incas utilizzavano la propoli nella cura delle affezioni febbrili e come disinfettante.

Prodotta dalle api da miele è ottenuta elaborando enzimi e secrezioni salivari con le resine raccolte su gemme e cortecce di alcuni vegetali (pioppi, querce, ontani, betulle, abeti, pini, ippocastani e altri) insieme a cera e polline. Impastano il composto e formando delle piccole palline che vengono poi trasportate nell’alveare. Tornate nella propria colonia, le api rimaste nell’alveare aiutano le raccoglitrici a togliersi le palline di propoli dalle zampe ed usarlo dove serve.
La parola propoli può essere usata sia al maschile che al femminile. Nella forma maschile il propoli deriva dalle parole “pro” e “polis” la cui traduzione letterale significa “davanti alla città”. Parafrasando significa “a difesa della città”, le api infatti la utilizzano proprio per difendere e proteggere la loro casa dalle minacce esterne e per restringere l’apertura d’ingresso all’alveare.
Nella forma femminile la propoli deriva sempre dalle due parole “pro” e “polis” e la traduzione letterale dal latino significa “per pulire”. Le api la usano anche per disinfettare e verniciare internamente le celle vuote prima della deposizione di uova da parte dell’ape regina e per mummificare i cadaveri d’intrusi evitando così la loro putrefazione.

La propoli è una miscela di sostanze chimiche molto diverse tra di loro e la composizione varia anche in funzione del periodo di raccolta, dalla zona, dalle piante, dal clima, dalla razza di api e da altri fattori.

Tra i suoi componenti troviamo: resine, balsami, polline, cere, olii essenziali, flavonoidi, polifenoli, sali minerali, gli idrossiacidi aromatici, gli acidi alifatici, le aldeidi aromatiche, le cumarine, zuccheri, zinco, silicio, rame, ferro, calcio, manganese, vitamine B1, B2, B6 e PP, vitamina C e vitamina E.

Per tutti questi importanti componenti è stata utilizzata dall’uomo fin dall’antichità come rimedio per molte malattie. Considerata come antibiotico naturale è usato per fronteggiare i malanni di stagione. In tempi moderni è stato dimostrato che ha un’attività antimicrobica contro batteri e funghi, proprietà antinfiammatorie, antisettiche e antiossidanti che hanno grandi effetti benefici per la salute.

Utilizzata dagli Egizi per trattare le infezioni della pelle, dell’apparato respiratorio e come riparatore tissutale e antisettico delle lesioni cutanee fu adoperata anche per la mummificazione.
Nell’Antica Grecia e nell’Impero Romano i soldati ne ricevevano in dotazione una piccola quantità per la medicazione delle ferite di guerra. Nel Medioevo era impiegata anche per frizionare l’ombelico dei neonati una volta staccati dal cordone e come rimedio contro le infiammazioni della bocca e della pelle. Il maestro liutaio Antonio Stradivari se ne servì per realizzare una particolare vernice per i suoi violini.

Numerose sperimentazioni, sia in vivo che in vitro, hanno dimostrato la capacità della propoli, in soluzione idroalcolica al 10-20%, di inibire lo sviluppo di vari ceppi batterici, quali Escherichia coli, Proteus vulgaris, Mycobacterium tuberculosis, Bacillus alvei, Bacillus subtilis, numerose salmonelle, stafilococchi, streptococchi, Corynebacterium diphtheriae.

Le sue proprietà terapeutiche sono: Antivirale – antibatterica – antinfungina (che interessano lo strato superficiale della pelle) – cicatrizzante – antinfiammatoria – immunostimolante –antimicotica – antifungina

Il suo utilizzo principale è contro il mal di gola (faringiti, tracheiti e tonsilliti), le affezioni delle vie respiratorie (tosse e raffreddore) e quelle del cavo orale (gengiviti, infiammazioni della lingua e del palato). Viene usata anche per i suoi benefici per la pelle e per le mucose (piccole ferite, scottature, irritazioni e brufoli) per la sua azione antibatterica e cicatrizzante.
In soluzione glicolica o alcolica è utile anche per afte, ascessi, gengiviti e per calmare il dolore ai denti.

Inoltre è utile per molti altri utilizzi:
– stimola il timo, la ghiandola preposta alla regolazione del sistema ormonale ed immunitario nel periodo della pubertà;
– attiva il metabolismo delle cellule e stimola la loro divisione (aiuta la rigenerazione dei tessuti danneggiati e la guarigione di ferite, escoriazioni, piaghe e ustioni);
– in campo geriatrico si sono osservati miglioramenti delle condizioni sia fisiche che psichiche degli anziani che la assumevano con regolarità.

Si può trovare in commercio in diversi formati e formulazioni come:
> tintura madre (soluzione idroalcolica composta da propoli, acqua e alcol) da assumere diluita in acqua;
> soluzione glicolica (estratto ottenuto tramite macerazione di propoli in acqua e glicerina) più delicata sulle mucose;
> soluzione acquosa totalmente priva di alcol, in cui viene impiegata la propoli decerata, per facilitare la solubilità in acqua, indicata per bambini e anziani.
E’ disponibile anche in granuli, capsule, colluttorio, sciroppi, spray orale, spray nasale, compresse effervescenti, unguento, pura o associata ad altri componenti, che ne potenziano e completano l’azione e ne mascherano il sapore.

In agricoltura si utilizzano preparati a base di propoli come insetticidi (soprattutto contro alcuni afidi), nella difesa da alcuni funghi dannosi ai vegetali e nella difesa da varie specie di batteri.
Generalmente è un prodotto sicuro ma in alcune situazioni può essere sconsigliato. E’ controindicata in caso di ipersensibilità, sensibilizzazione e allergie.

La Pappa Reale

pappa realeLa pappa reale è uno dei prodotti più pregiati delle arnie. Si presenta come una sostanza gelatinosa, per questo è anche definita “gelatina reale”. Il suo colore è bianco-giallognolo può modificarsi a contatto con l’aria, il sapore è astringente e acidulo.

Le api producono questa sostanza con miele e polline, mischiandola con un pò della loro saliva e viene utilizzata come nutrimento per le larve fino a tre giorni di età e per l’ape regina ed è per questo che viene ritenuta un alimento nobile.

E’ questo nutrimento a far sì che la regina, nata da un uovo identico a quello di un’ape operaia, diventi in meno giorni due volte più grossa e pesante, che la sua larva riesca ad aumentare di circa duemila volte in cinque giorni il suo peso ed anche che una regina possa avere una durata di vita che può arrivare fino a cinque anni (mentre un’operaia vive intorno ai 45 giorni) e infine, che essa sia in grado di deporre fino a 2000 uova al giorno per alcuni anni.

Fu il naturalista ed entomologo olandese Jan Swammerdam (1637-1680) a descrivere per primo quel residuo di nutrimento che è rintracciabile all’interno di una cella reale dopo lo sfarfallamento della regina. Lo scienziato francese René Antoine de Réaumur (1683-1757) utilizzò il termine bouillie (pappa) e gelée (gelatina) per denominare il cibo della regina e delle larve di api operaie. Il reverendo Langstroth, considerato il padre dell’apicoltura americana, fu il primo pare a farne fare un’analisi chimica nel 1852, coi metodi di allora che però non garantivano un’informazione significativa. Intorno al 1950 si inizia a formare la conoscenza della composizione della pappa reale.

A partire dagli anni ’60, con lo sviluppo della cosiddetta “Apiterapia”, si indagò l’utilizzo della pappa reale in funzione della salute. Il Giappone si rivelò la nazione più propensa al suo consumo e nel 1986 sono stati pubblicati gli standard di qualità per uso medicinale e quelli di composizione per l’uso alimentare.

pappa realeNegli anni ‘80 in Italia si è cominciato a dedicare una maggiore attenzione agli aspetti produttivi e alla produzione di pappa reale di origine italiana di fronte alla saturazione del mercato di pappa reale di produzione cinese. Contemporaneamente, proprio in Cina si è sviluppato un grosso interesse sia sulla selezione di ceppi di api più idonee alla produzione di grosse quantità di pappa reale, sia sul miglioramento degli espedienti tecnici e delle modalità di gestione degli alveari. Il nuovo impulso che ha preso vita tra gli apicoltori italiani alla fine degli anni ‘90 ha avuto come ispirazione le esperienze cinesi.

I principali costituenti della pappa reale fresca sono acqua (57-70%), proteine (14-15%), zuccheri (12-13%), lipidi (3-4%) e minerali (2%):
– Delle proteiche gran parte sono aminoacidi, di cui gli otto considerati indispensabili all’organismo umano.
– Gli zuccheri sono costituiti principalmente da glucosio e fruttosio e in misura minore, da maltosio, tralosio, melibiosio, erlosio e ribosio.
– I lipidi sono per lo più costituiti da acidi grassi.
– Tra i minerali sono presenti potassio, calcio, sodio, zinco, ferro, rame e manganese.
– Tra le vitamine, particolarmente abbondanti sono quelle del gruppo B, in particolare l’acido pantotenico (vitamina B5).
– E’ presente anche acetilcolina, un neurotrasmettitore e vasodilatatore, oltre che fattore antibatterico e antibiotico.
– In letteratura si parla spesso di una frazione ancora sconosciuta della pappa reale, la cui composizione contiene un notevole numero di elementi indispensabili alla vita dell’uomo in una prodigiosa sinergia che sarebbe impossibile da realizzare in laboratorio.

La pappa reale è un vero e proprio elisir naturale e viene consigliata:
– per sostenere il corpo durante i cambi stagionali
– in periodi di stress e di sforzo lavorativo e o mentale
– durante le convalescenze o in occasione di periodi di ospedalizzazione
– come stimolante dell’appetito o in caso di anemia
– come immunostimolante
– come tonico
– come stimolante del metabolismo
– in casi di depressione o ansia
– per bambini prematuri o con deficienze nutrizionali e pazienti anziani
– in caso di diabete, con un calo del tasso zuccherino nel sangue fino al 33%, registrato tre ore dopo la somministrazione della pappa reale e sul colesterolo in eccesso.
– in caso di ulcera duodenale (quest’affezione nel 60% dei casi è dovuta ad avitaminosi pantotenica).

In commercio si trova fresca, liofilizzata, in miscela col miele e con altri prodotti dell’alveare, in pillole, capsule, lozioni, creme, unguenti, shampoo ed emulsioni.
Il solo uso che raccoglie totalità di consensi è quello della pappa reale fresca, che si conserva bene per 10-12 mesi a una temperatura tra 0 e 5 gradi in flaconcini ben sigillati.

Ne viene consigliata l’assunzione al mattino a digiuno per via sublinguale (cioè ponendola sotto la lingua e lasciandola sciogliere in modo da assorbirla attraverso le mucose), deglutendola lentamente.
Ci sono diverse posizioni invece sull’uso della pappa reale liofilizzata o mescolata ad altri prodotti. La ragione dei dubbi sta nell’estrema instabilità della pappa reale (è per questo che va conservata a una temperatura bassa e costante): basterebbero sette ore di esposizione all’aria per privarla delle proteine.

La pappa reale ha anche un uso topico, alcuni consigliano di applicarla direttamente sulla pelle come tonico, sul cuoio capelluto per stimolare la ricrescita dei capelli e contro la forfora.

Segnaliamo due studi scientifici:
Royal Jelly as a Nutraceutical Natural Product with a Focus on Its Antibacterial Activity (La Pappa reale come prodotto naturale nutraceutico con particolare attenzione alla sua attività antibatterica). In questo studio i ricercatori hanno fatto luce sulla sua attività antiossidante e antitumorale. Le proprietà biologiche della pappa reale sono legate ai suoi composti bioattivi, come proteine, peptidi, fenolici e acidi grassi.

Royal Jelly Protected against Dextran-Sulfate-Sodium-Induced Colitis by Improving the Colonic Mucosal Barrier and Gut Microbiota (La pappa reale protegge contro la colite indotta da destrano-solfato-sodio migliorando la barriera mucosa del colon e il microbiota intestinale). La malattia infiammatoria intestinale può causare dolore addominale e diarrea. Con questo studio, i ricercatori hanno esplorato e evidenziato l’effetto protettivo della pappa reale sulla colite indotta da DSS nei topi.

L’ape ricama fili invisibili da un fiore all’altro e cuce il prato di luce.
E il polline che porta con sé, se lo guardi bene, è una polvere d’oro simile alle stelle, solo che anziché galassie crea l’incantesimo del miele.
Fabrizio Caramagna

Il Miele

mieleIl miele è considerato tra i cibi sacri e spirituali. E’ simbolo di ricchezza, abbondanza e di dolcezza. Non a caso è il nutrimento originario degli dèi e le diverse tradizioni fanno scorrere in Paradiso fiumi di latte e miele.

Il ruolo delle api è fondamentale nell’elaborazione del prodotto. Grazie alla loro laboriosità minuziosa riescono a raccogliere goccioline per assemblare quantità significative di nettare, da trasformare poi con un processo altrettanto paziente. La materia prima di partenza però è di origine vegetale ed il miele finito deve le sue caratteristiche alla natura, alle caratteristiche e alla provenienza del nettare, materia iniziale.
Non necessita di trattamenti di conservazione grazie all’alta concentrazione zuccherina riduce la quantità di acqua necessaria per la crescita dei microrganismi.

Nei sogni il miele viene spesso inteso come segno di buona salute oppure predice che si verrà ricompensati per gli sforzi intellettuali o professionali fatti e che attraverso l’autoconoscenza si raggiungerà l’armonia interiore.

Il miele contiene circa il 18% di acqua e l’80% di zuccheri. Questi comprendono principalmente una miscela di zuccheri semplici (glucosio e fruttosio), seguita dal saccarosio e dal maltosio e da destrine.
Non sono presenti grassi, mentre la quota di proteine è esigua. Anche il contenuto in sali minerali è modesto e vi prevale il potassio. Le tracce di vitamine del gruppo B riscontrate provengono anch’esse dal polline.
Contiene enzimi attivi, di origine vegetale e animale, responsabili della trasformazione degli zuccheri complessi in quelli più semplici.
Sono presenti anche sostanze antibiotiche naturali come l’inibina.

Il miele è un alimento nutriente per l’elevato contenuto in zuccheri, altamente energetico e dolcificante e per questo adatto nelle diete ricostituenti e ipercaloriche. È facilmente digeribile e assimilabile, essendo composto in prevalenza da zuccheri semplici.
Ha proprietà corrobanti, disintossicanti del fegato, antinfiammatorie, è un calmante per le mucose irritate ed è leggermente lassativo. Grazie alle sue proprietà antiossidanti ha anche un largo impiego nella cosmetica, viene utilizzato per maschere di bellezza, shampoo per i capelli e creme per il corpo.
Cosa importante non necessita di nessuna trasformazione per arrivare dalla natura alla nostra tavola.
La nostra penisola si distingue dal resto del mondo per la produzione di miele e per la ricchezza floristica e offre varietà pregiate e tipiche: acacia, corbezzolo, rododendro sono tre dei molti tipi di miele disponibili in Italia.

Diversi studi indicano che il miele ha dimostrato capacità di limitare e contrastare lo sviluppo di diversi tipi di batteri coinvolti ad esempio nelle infezioni respiratorie, ha proprietà antinfiammatorie e calmanti (tosse e i sintomi del raffreddore). Queste proprietà sono state dimostrate da uno studio del dipartimento di Pediatria e di Scienze della sanità pubblica dell’Università della Pennsylvania.

La ricerca ha confermato che il miele offre benefici e sollievo soprattutto durante la notte. Il segreto sarebbe proprio nella sua dolcezza: il suo potere lenitivo deriva dal fatto che le sostanze dolci inducono il riflesso di salivazione, causando le secrezioni del muco che hanno effetto sedativo ed emolliente sulla faringe e sulla laringe. Il miele è citato anche dall’Organizzazione mondiale della sanità come rimedio naturale per tosse, mal di gola e raffreddore.

I mieli scuri e quelli prodotti in zone aride ostacolano la formazione della placca, grazie al maggior contenuto di antiossidanti. È di fondamentale importanza ricordare, inoltre, che il miele ha un indice glicemico inferiore rispetto ad altri dolcificanti, ecco perché può essere incluso nell’alimentazione dei diabetici.

Due studi sull’uomo hanno dimostrato che il consumo di miele di acacia aumenta il livello di antiossidanti nel sangue: Buckwheat Honey Increases Serum Antioxidant Capacity in Humans e Honey with High Levels of Antioxidants Can Provide Protection to Healthy Human Subjects

Utilizzato fin dall’antichità per scopi terapeutici e nutrizionali  era considerata una delle risorse mediche essenziali nella guarigione delle ferite.

Lo studio Synergic Effect of Honey with Other Natural Agents in Developing Efficient Wound Dressings (Effetto sinergico del miele con altri agenti naturali nello sviluppo di medicazioni efficaci per le ferite) ha dimostrato le significative proprietà antibatteriche, antiossidanti, antinfiammatorie, antitumorali e cicatrizzanti. I ricercatori scientifici si sono concentrati sull’apiterapia, utilizzando i prodotti delle api per proteggere e rafforzare il sistema immunitario. Hanno illustrato alcuni meccanismi d’azione e le applicazioni mediche del miele, come medicazioni per la guarigione delle ferite e innesti cutanei.

Le applicazioni in medicina sono innumerevoli e possono lavorare in sinergia anche con altri prodotti naturali dotati di notevoli proprietà terapeutiche nella guarigione delle ferite.

Il Veleno
Il veleno d’ape, detto apitossina, è prodotto da specifiche ghiandole delle api di sesso femminile, collegate a una sacca contenitrice e a un pungiglione. Le regine invece usano il loro pungiglione esclusivamente con le rivali mentre i fuchi non hanno pungiglione.

Quando un’ape punge un essere umano o un mammifero in generale, il pungiglione, che è dotato di piccoli uncini, rimane conficcato nella pelle e l’ape muore, perché nel tentativo di staccarsi si strappa gli intestini. Il contenuto di una sacca di veleno viene in genere espulso completamente in due minuti.

Il veleno d’ape è anche portatore di un messaggio feromonale di allarme, che attiva altre api nella difesa dell’alveare.

Nell’uomo il veleno d’ape anche in quantità minime può provocare reazioni che vanno dal dolore localizzato fino a delle vere e proprie reazioni allergiche e allo shock anafilattico, uno stato di ipersensibilità che può approdare a una reazione violenta, in rarissimi casi con esiti mortali.

Nonostante venga comunemente associato a questo aspetto contiene molteplici sostanze ad elevata attività farmacologica e biochimica che possono essere usate efficacemente per una grande varietà di malattie (se naturalmente non si è un soggetto allergico).

Con il tempo si è andata affermando una terapia alternativa e del tutto naturale che prevede l’impiego del veleno d’ape come cura per svariate affezioni. L’Apipuntura sfrutta il veleno, con la dovuta precauzione, come risorsa terapeutica alternativa.
Gli effetti terapeutici del veleno d’ape sono conosciuti da più di 12 secoli, il suo utilizzo in medicina ha trovato sviluppo e approvazione ufficiale solo nei Paesi in cui l’apiterapia in genere ha una buona tradizione, come ad esempio in Cina e nell’Est Europeo.

La medicina popolare attribuisce al veleno delle api proprietà medicinali e curative come antinfiammatorio e anti-reumatico. Il ricorso alle punture dirette delle api costituisce infatti un vecchio rimedio tradizionale soprattutto contro i disturbi articolari, ma con l’evidente limite di non consentire una somministrazione completamente controllata di veleno.

Il contenuto in istamina ha un’azione vasodilatatrice e fluidificante del sangue, con rallentamento del processo di coagulazione; per questo trova applicazioni in medicina nei casi di infarto del miocardio. Inoltre, seguendo ciò che la tradizione ci riporta, viene impiegato come rimedio contro i reumatismi, l’artrite, l’osteoartrite e le nevralgie.

Secondo il ricercatore egiziano Ahmed Hegazi, su uno dei primi rotoli di papiri egiziani risalente al 2000 prima di Cristo, sarebbe già menzionato l’uso terapeutico del veleno d’api tramite strofinamento sulle parti dolenti. Il veleno d’ape sarebbe stato conosciuto sotto questo aspetto anche in altre antiche civiltà, Babilonia, Assiria e Nibia.

Ippocrate l’avrebbe utilizzato per guarire artrite e altri problemi alle articolazioni e infiammatori definendolo “medicina strana e misteriosa”. Ne parlano anche Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia, e Galeno. Carlo Magno sarebbe stato guarito dalla gotta usando il veleno d’api. Fu probabilmente J. Langer, dell’Università di Praga, a provare per primo, nel 1897-99, a estrarre il veleno senza ammazzare l’ape, provocando l’estroflessione del pungiglione e raccogliendo il veleno in gocce all’interno di tubi capillari.

La composizione del veleno è formata da 78 diverse componenti.
La principale è la Melittina, un peptide, che ne costituisce il 40-50%. Ha proprietà stimolanti sul cuore, abbassa la pressione sanguigna, permeabilizza i tessuti, è un potente antiinfiammatorio, inibitore del sistema nervoso centrale, radioprotettivo, antibatterico e antifungino.

Oltre alla Melittina sono presenti:
– L’Apamina (2%) è un antiinfiammatorio, neurotossico e stimolante del sistema nervoso, migliora la conduttività elettrica delle guaine nervose anche se degenerate. E’ un componente importante per la cura della sclerosi multipla.
– Il Peptide 401 (2-3%), altro antiinfiammatorio, sembrerebbe agire sull’ipofisi scatenando la produzione di ACTH e quindi di cortisolo, rivestendo anche importanza per il sistema immunitario.
– L’Adolapina (1%) ha un’attività antipiretica e analgesica.
– L’Istamina (1%) ha un’attività vasodilatatrice. E’ all’origine delle sensazioni dolorose e infiammatorie del veleno.
– La Fosflolipasi (12%) e la Ialuronidasi (4%) detossificano le cellule, permeabilizzando i tessuti (importante perciò in affezioni reumatiche), la Fosfolipasi provoca inoltre una riduzione della pressione sanguigna ed inibisce la coagulazione del sangue, la Ialuronidasi è immunostimolante.
– La Dopamina agevola la funzione di neurotrasmissione e provoca l‘aumento della frequenza cardiaca.

L’apiterapia vera e propria nasce in Austria, a cavallo tra l’’800 e il ‘900, col dottor Philip Terc, che lo utilizzò in 25 anni di pratica su pazienti reumatici. Pioniere della terapia col veleno d’api fu il medico ungherese Bodog Beck, autore di un testo classico dell’apiterapia, pubblicato nel 1930: “Terapia col veleno d’api”. Le sue tracce vennero seguite dall’apicoltore americano Charles Mraz.

Dall’inizio degli anni ’50 anche il dottor Joseph Broadman, di New York, praticò l’apiterapia per la cura di artriti e racchiuse la sua esperienza nel libro “Bee Venom, the natural curative for arthritis and rheumatism”, pubblicato nel 1962. Oltre che in America, la terapia col veleno d’api ha avuto importanti sviluppi in Russia e nei paesi dell’est europeo, Cina, Giappone, Corea, Canada, Francia, Germania, Svizzera e Austria.

L’apiterapia è un insieme di trattamenti mirati al recupero del benessere con i prodotti raccolti, trasformati e secreti dalle api, ad integrazione della medicina convenzionale. Si basa su una tradizione molto antica, con evidenze terapeutiche plurisecolari e testimonianze che risalgono ad almeno due millenni. Sono stati trovati scritti sulle pratiche legate all’apiterapia in varie civiltà, tra cui quella egiziana, greca e romana.

Gli utilizzi del veleno possono avvenire in caso di problemi:

– Neurologici (per Sclerosi multipla, Lombosciatalgia, Paralisi di Bell, Analgesia, Nevralgia, Dolori cronici, Nevralgia post-erpetica, Sindrome del Tunnel carpale)
– Reumatologici (per Reumatismi, artriti e Artrosi, borsiti, Mialgie, Spondilite deformante, Poliartrite Deformante, Artrite psoriasica, Gotta, Gomito del tennista, morbo di Schermann, Fibromialgia, Tendinite, Contrazione di Dupytrèn, Traumi)
– Polmonari (per Asma, Malattie ostruttive polmonari, Enfisema)
– Immunologici (Scleroderma, Lupus Erytematosa, Endoarteritis Obliterans)
– Infettivologici (Herpes Zoster, Meningite Virale, Sindrome della Stanchezza Cronica, AIDS, Verruche)
– Dermatologici (Eczema, Tumori della pelle, Tumori vascolari della pelle, Alopecia, Dermatiti seborroiche, Micosi, Calli)
– Cardiovascolari (per Ipertensione, Ipotensione, Aterosclerosi, Aritmia, Endoarterite)
– Oftalmologico (Glaucoma, Maculopatie)
– Veterinario (Artriti, Infezioni)
– Ferite, lesioni, cicatrici

L’utilizzo dell’apiterapia è stato funzionale ad esempio nelle malattie paradontali.
Le malattie parodontali sono causate principalmente dall’infiammazione delle gengive e delle ossa che circondano i denti. Colpisce il 20-50% della popolazione mondiale.

Negli ultimi anni, è stata data maggiore preferenza alle terapie naturali rispetto ai farmaci sintetici nel trattamento della malattia parodontale e sono stati sviluppati diversi prodotti per l’igiene orale, come collutorio e dentifrici, comprendenti prodotti delle api (propoli, miele, pappa reale e veleno d’api purificato). Nello studio Apitherapy and Periodontal Disease: Insights into In Vitro, In Vivo, and Clinical Studies (Apiterapia e malattia parodontale: approfondimenti su studi in vitro, in vivo e clinici) i ricercatori hanno ripreso la letteratura sul trattamento della parodontite che hanno utilizzato prodotti delle api.

Sulla base dei risultati di questi studi, si è concluso che i prodotti delle api, come la propoli e il veleno d’api purificato, sono efficaci e sicuri per l’uso nel trattamento della parodontite, principalmente grazie alle loro attività antimicrobiche e antinfiammatorie.

E ancora, una ricerca polacca ha dimostrato scientificamente che i prodotti delle api hanno una forte attività contro i ceppi batterici che causano carie, parodontite, gengivite, faringite, ulcere aftose ricorrenti, placca sopragengivale e sottogengivale. Bee Venom, Honey, and Royal Jelly in the Treatment of Bacterial Infections of the Oral Cavity: A Review (Veleno d’api, miele e pappa reale nel trattamento delle infezioni batteriche del cavo orale: una rassegna).

L’apiterapia presenta un approccio medico complementare che utilizza i prodotti delle api nel trattamento di malattie, inclusi alcuni tipi di cancro. Le metastasi del cancro implicano l’acquisizione del potenziale migratorio delle cellule tumorali e ha già mostrato notevoli effetti antimetastatici.

Nello studio Antimigratory Activity of Royal Jelly on HCT-116 Colorectal Cancer Cells (Attività antimigratoria della pappa reale sulle cellule tumorali del colon-retto HCT-116) i ricercatori hanno studiato gli effetti della pappa reale sulla migrazione delle cellule tumorali del colon-retto e delle proteine chiave coinvolte in questo processo, E- e N-caderina.

In conclusione i prodotti delle api contengono diversi componenti bioattivi che possiedono proprietà antivirali derivate da fonti vegetali.

Si è dimostrato che i prodotti delle api hanno un potenziale antivirale contro diversi virus. I componenti antivirali dei prodotti delle api possono spesso esercitare attività antimicrobiche. Lo studio General Nutritional Profile of Bee Products and Their Potential Antiviral Properties against Mammalian Viruses (Profilo nutrizionale generale dei prodotti delle api e loro potenziali proprietà antivirali contro i virus dei mammiferi) suggerisce anche che il consumo di prodotti delle api, cioè miele, propoli, veleno d’api, polline d’api, pappa reale, e cera d’api, può avere un approccio integrale per migliorare l’immunità e ridurre i problemi della salute umana.

Le api sono insetti fondamentali per la nostra sopravvivenza e hanno un ruolo importantissimo nel mantenimento della biodiversità e nella conservazione della natura. Da secoli questi piccoli esseri donano benefici a persone, piante e ambiente. Sono infaticabili lavoratrici, trasportano instancabilmente da un fiore all’altro il polline, consentendo la crescita di frutta e verdura e garantendoci la possibilità di alimentarci in modo vario e sano.

E’ importante al momento dell’acquisto di qualunque prodotto realizzato dalle laboriose api controllare la provenienza, le tecniche di produzione, l’aggiunta di eventuali additivi, antibiotici, antiparassitari, pesticidi e la zona di raccolta.

“Andate nei vostri campi e nei vostri giardini e imparerete che il piacere dell’ape
è raccogliere il miele dal fiore.
Ma anche che il piacere del fiore è cedere il proprio miele all’ape.

Perché per l’ape un fiore è sorgente di vita,
e per il fiore un’ape è un messaggio d’amore.

E per entrambi, ape e fiore,
dare e ricevere piacere sono un bisogno e un’estasi.
Popolo di Orfalese, siate dunque nei vostri piaceri come i fiori e le api.”
Khalil Gibran

Grazie a Erica Dellago per l’ispirazione.

Nota: Le informazioni contenute in questo articolo sono a scopo informativo e divulgativo, non costituiscono la prescrizione di un trattamento.

Immagini: Pixabay

Riferimenti consultati

Associazione Italiana Apiterapia

Dizionario dei Simboli dei Miti e delle Credenze, Corinne Morel, Giunti Editore;

Enciclopedia dei Simboli, Hans Biedermann, Garzanti Editore;

Il miele, dolcificante naturale

L’ape nell’arte e nella simbologia

La propoli, metodo per produrla

Le Api, Rudolf Steiner, Editrice Antroposofica, Milano;

Le lacrime di Ra – L’apicoltura e l’importanza delle api nell’antico Egitto

Miele: un dolce elisir di salute

Pappa reale: proprietà e benefici per il corpo e la mente

Percezioni del veleno d’api impiegato in prove sperimentali

Polline

Propoli

Propoli: dalle api un potente antibiotico naturale

Propoli, le tante proprietà di questo prezioso prodotto delle api

Propoli – Proprietà della Propoli

Tesi di Laurea Il giardino delle api: valore scientifico e didattico di Mauro Olita 

Tesi di Laurea Analisi morfologica, morfometrica e biomolecolare delle ghiandole ipofaringee delle api e relazione con l’alimentazione proteica di Valeria Di Maio

Analysis of Naturally Derived Apis mellifera Products and Their Promising Effects against Cadmium-Induced Adverse Effects in Female Rats. Analisi UPLC-MS/MS dei prodotti Apis mellifera di derivazione naturale e dei loro promettenti effetti contro gli effetti avversi indotti dal cadmio nelle femmine di ratto

Antimigratory Activity of Royal Jelly on HCT-116 Colorectal Cancer Cells, Attività antimigratoria della pappa reale sulle cellule tumorali del colon-retto HCT-116

Apitherapy and Periodontal Disease: Insights into In Vitro, In Vivo, and Clinical Studies. Apiterapia e malattia parodontale: approfondimenti su studi in vitro, in vivo e clinici

Bee Venom, Honey, and Royal Jelly in the Treatment of Bacterial Infections of the Oral Cavity: A Review. Veleno d’api, miele e pappa reale nel trattamento delle infezioni batteriche del cavo orale: una rassegna

General Nutritional Profile of Bee Products and Their Potential Antiviral Properties against Mammalian Viruses. Profilo nutrizionale generale dei prodotti delle api e loro potenziali proprietà antivirali contro i virus dei mammiferi.

Honey with high levels of antioxidants can provide protection to healthy human subjects. Il miele con alti livelli di antiossidanti può fornire protezione a soggetti umani sani

Royal Jelly as a Nutraceutical Natural Product with a Focus on Its Antibacterial Activity (La Pappa reale come prodotto naturale nutraceutico con particolare attenzione alla sua attività antibatterica)

Royal Jelly Protected against Dextran-Sulfate-Sodium-Induced Colitis by Improving the Colonic Mucosal Barrier and Gut Microbiota (Pappa reale protegge contro la colite indotta da destrano-solfato-sodio migliorando la barriera mucosa del colon e il microbiota intestinale)

Significato e simbologia dell’Ape

Synergic Effect of Honey with Other Natural Agents in Developing Efficient Wound Dressings (Effetto sinergico del miele con altri agenti naturali nello sviluppo di medicazioni efficaci per le ferite)

Unione Nazionale Apicoltori Italiana


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