dallo SchwartzReport del 27 aprile 2011
Traduzione a cura della redazione di www.coscienza.org – Erica Dellago
Provate a immaginare cosa succederebbe se il denaro che stiamo riversando in quattro guerre venisse investito in energia alternativa, immaginate ciò che potrebbe accadere. Questo intanto è ciò che sta accadendo con le briciole stanziate.
Si prega di notare l’osservazione della relazione: “Il lavoro è stato finanziato dalla società italiana Eni, attraverso il MIT Energy Initiative’s Solar Futures Program”.
Grazie a Damien Broderick, Dottorato di Ricerca.
Stephan A. Schwartz
DAVID L. CHANDLER – MIT News

In questo diagramma, il virus M13 è costituito da un filamento di DNA (la figura a 8 arrotolata sulla destra) collegato ad un fascio di proteine chiamate peptidi – il virus ricopre le proteine (le forme a cavatappi nel centro), che si attaccano ai nanotubi di carbonio (i cilindri grigi) e li tengono fermi sul posto. Un rivestimento di biossido di titanio (le sfere gialle) attaccate alle molecole di colorante (sfere rosa) circondano il fascio. Altri virus con i loro rivestimenti sono sparpagliati sullo sfondo. Immagine: Matt Klug, Biomolecular Materials Group
Alcuni ricercatori del MIT (NdT Massachusetts Institute of Technology) hanno trovato un modo per migliorare significativamente l’efficienza di conversione in energia elettrica delle celle solari, servendosi di microscopici virus per compiere un preciso lavoro di assemblaggio a livello microscopico.
In una cella solare, la luce del sole colpisce un materiale fotosensibile, causando il rilascio di elettroni che possono essere sfruttati per produrre una corrente elettrica. La nuova ricerca del MIT, pubblicata online questa settimana sulla rivista Nature Nanotechnology, si basa sulla risultanza che i nanotubi di carbonio – microscopici cilindri cavi di carbonio puro – possono migliorare l’efficienza di raccolta degli elettroni dalla superficie di una cella solare.
Precedenti tentativi di utilizzare i nanotubi, tuttavia, erano stati ostacolati da due problemi. In primo luogo, la produzione di nanotubi di carbonio produce in genere un mix di due tipi, alcuni dei quali agiscono come semiconduttori (a volte permettendo alla corrente elettrica di scorrere, a volte no) o metalli (che agiscono come fili, permettendo alla corrente di scorrere facilmente). La nuova ricerca, per la prima volta, ha dimostrato che gli effetti di queste due tipologie tendono a essere diversi, perché i nanotubi semiconduttori possono migliorare la prestazione delle celle solari, mentre quelli metallici hanno l’effetto opposto. In secondo luogo, i nanotubi tendono ad ammassarsi, il che riduce la loro efficacia.
Ed è qui che i virus vengono in aiuto. I dottorandi Xiangnan Dang e Hyunjung Yi – che lavorano con Angela Belcher, Professore di Energia del W.M. Keck, e molti altri ricercatori – hanno scoperto che una versione geneticamente modificata di un virus chiamato M13, che normalmente infetta i batteri, può essere utilizzata per controllare la disposizione dei nanotubi su una superficie, mantenendo le provette separate, in modo che non possano cortocircuitare i circuiti, e tenendo i tubi separati in modo che non si mescolino tra loro.
Il sistema testato dai ricercatori ha utilizzat oun tipo di cella solare conosciuta come cella solare a tecnologia DSSC (NdT o cella solare di terza generazione), un tipo leggero e economico dove lo strato attivo è composto da biossido di titanio, piuttosto che dal silicio delle celle solari convenzionali. Ma la stessa tecnica potrebbe essere applicata ad altri tipi di cella, incluse le quantum-dot e le celle solari organiche, hanno detto i ricercatori. Nei loro test, aggiungendo le strutture costruite con i virus, hanno migliorato l’efficienza di conversione di potenza dall’8 al 10,6 percento – un miglioramento di quasi un terzo.
Questo sensazionale miglioramento ha luogo anche se i virus e i nanotubi costituiscono solo lo 0,1 percento del peso della cella completa. “Poca biologia fa molta strada” dice la Belcher. Con ulteriore lavoro, i ricercatori pensano di poter aumentare ulteriormente l’efficienza.
I virus vengono utilizzati per aiutare a migliorare un particolare passo nel processo di conversione della luce del sole in elettricità. In una cella solare, il primo passo per l’energia della luce è colpire gli elettroni liberati dal materiale delle celle solari(di solito silicio); poi, questi elettroni devono essere incanalati verso un collettore, da cui possono formare una corrente che scorre per caricare una batteria o alimentare un dispositivo. Dopo di che, tornano al materiale originale, dove il ciclo può ricominciare. Il nuovo sistema è pensato per migliorare l’efficienza del secondo passo, aiutando gli elettroni a trovare la loro strada: aggiungere i nanotubi di carbonio alla cella “fornisce un percorso più diretto verso il collettore di corrente” dice la Belcher.
I virus in realtà svolgono due diverse funzioni in questo processo. In primo luogo, possiedono proteine brevi chiamate peptidi che possono legarsi strettamente ai nanotubi di carbonio, tenendoli fermi e separati l’uno dall’altro. Ogni virus può contenere da cinque a dieci nanotubi, ciascuno dei quali è tenuto saldamente in posizione da circa 300 molecole di peptidi del virus. In aggiunta, il virus è stato progettato per produrre un rivestimento di biossido di titanio (TiO2), un ingrediente fondamentale per le celle solari a tecnologia DSSC, su ciascuno dei nanotubi, mettendo il biossido di titanio in stretta prossimità dei fili di nanotubi che trasportano gli elettroni.
Le due funzioni vengono svolte in successione dallo stesso virus, la cui attività “passa” da una funzione a quella successiva modificando l’acidità del suo ambiente. Questa funzione commutativa è un’importante nuova proprietà dimostrata per la prima volta con questa ricerca, dice la Belcher.
Inoltre, i virus rendono i nanotubi solubili in acqua, permettendo di incorporarli alla cella solare tramite un processo a base di acqua che funziona a temperatura ambiente.
Prashant Kamat, Professore di chimica e biochimica alla Notre Dame University, che ha lavorato approfonditamente sulle celle solari a tecnologia DSSC, dice che altri hanno tentato di utilizzare i nanotubi di carbonio per migliorare l’efficienza delle celle solari, ma “i miglioramenti osservati in precedenti studi erano marginali”, mentre i miglioramenti da parte del team del MIT con il metodo di assemblaggio del virus sono “sensazionali”.
“E’ probabile che l’assemblaggio del virus abbia permesso ai ricercatori di stabilire un miglior contatto tra le nanoparticelle di TiO2 e i nanotubi di carbonio. Questo stretto contatto con le nanoparticelle di TiO2 è essenziale per scacciare rapidamente gli elettroni foto-generati e trasportarli efficientemente alla superficie dell’elettrodo di raccolta”.
Kamat ritiene che il processo potrebbe portare a un prodotto commercialmente sostenibile: “Le celle solari a tecnologia DSSC sono già state commercializzate in Giappone, Corea e Taiwan”, dice. Se l’aggiunta di nanotubi di carbonio tramite il processo virale è in grado di migliorare la loro efficienza, “è probabile che l’industria adotti tali processi”.
In precedenza, la Belcher e i suoi colleghi avevano utilizzato versioni dello stesso virus progettate in modo diverso per migliorare le prestazioni di batterie e di altri dispositivi, ma il metodo utilizzato per migliorare la prestazione delle celle solari è molto diverso, dice.
Dato che il metodo aggiungerebbe solo un semplice passo al processo standard di produzione di celle solari, dovrebbe essere piuttosto semplice adattare gli impianti di produzione esistenti e quindi dovrebbe essere possibile passare all’attuazione in tempi relativamente brevi, dice la Belcher.
Il team di ricerca comprende anche Paula Hammond, Professore di Ingegneria Chimica della Bayer; Michael Strano, Professore Associato di Ingegneria Chimica della Charles (1951) and Hilda Roddey Career Development; e quattro altri studenti laureati e ricercatori post-dottorato. Il lavoro è stato finanziato dalla società italiana Eni, attraverso il MIT Energy Initiative’s Solar Futures Program.