Presentato a Firenze da Mario Luzi, uno dei più importanti poeti viventi, il libro “Le tre Anime”.
MARIO LUZI:
Da dove veniamo, chi siamo e dove andiamo. L’universo umano si accredita queste domande, e anche per conto evidentemente di altre specie che non siano gli uomini.
Questo è “l’argomento degli argomenti” che ha promosso il libro, è il tema dei temi.
Ed è sostanziale con il pensiero dell’uomo. Un argomento che esiste prima ancora che il pensiero dell’uomo si fosse articolato e avesse trovato una sua espressione qualunque. Un tema che probabilmente era istintuale e alla base dell’esistenza.
Il libro nasce da questo. Il fondamento i tre lo hanno rintracciato nelle domande che erano state loro poste tante volte. Domande senza le quali, del resto, la poesia, la letteratura, la parola stessa forse non esisterebbe.
La poesia nasce da queste tre domande allineate. Che siano state consce, consapevoli, esplicite o meno non lo sappiamo, in ogni caso erano nella natura meccanica, vitale dell’uomo.
La poesia non può fare a meno di porsi questi interrogativi primari. E credo che tutto stia in questa grande tautologia.
Con il passare dei secoli, questi interrogativi, anziché placarsi con l’esperienza, si sono intensificati.
L’esperienza intensifica e fa crescere l’ansietà. L’esperienza col tempo, non dico che abbia progredito, ma è avanzata, si è accresciuta. Eppure non ha dato alcuna quiete, alcuna pacifica risposta a queste domande. E’ credo che questa sia una constatazione che si possa fare oggettivamente.
Come esperienza personale posso dire questo: negli ultimi anni della mia esistenza non è che questi problemi si siano attenuati in intensità. Tendo però a sdrammatizzare, a prenderli in maniera più leggera. Da ultimo, in vecchiaia si acquista la leggerezza. Si perdono tante cose, ma si guadagna la leggerezza, senza per questo diminuire il senso e la portata delle proprie inquietudini. Il vertice di un’esistenza porta anche a questo acquisto: il limite vissuto non più come una punizione ma come una persuasione interiore di umiltà. L’umiltà non viene nominata molto nelle vostre pagine, eppure io trovo sia una grandissima conquista. Ed è una conquista di ordine scientifico, credo, e di ordine spirituale.
Non per nulla si parla, tra le pagine del professor Bruschi, di scienza della coscienza. Si progredisce nella coscienza, si acquista coscienza del nostro limite, del limiti che abbiamo nel nostro essere umani. Tutto quello che noi sappiamo, che elucubriamo, che intuiamo è limitato alle nostre minime possibilità umane di conoscenza.
Ecco, io sono arrivato a questo.
Il mio ultimo libro, “Sottospecie umana”, è proprio abitato da questo. Tutto quello che la mia anche lunga esperienza di scrittore mi ha permesso di fare è un minimo incidente determinato dalla mia conoscenza circoscritta dai miei limiti umani, dal mio spazio umano. Quindi, cosa resta fuori? Resta fuori il grandissimo e inconoscibile universo.
Questo mi pare che si ritrovi anche, tra le righe, nelle pagine bellissime del professor Bruschi. Non so se io tradisco il suo pensiero.
E questo è molto moderno. Questo è un discorso che nessuno scienziato del positivismo avrebbe fatto. Ma oggi si fa, si può fare. E’ molto importante, e si trova tra le pagine del professor Bruschi. Questa una delle ragioni per cui la lettura del libro mi ha coinvolto.
quesiti che abbiamo elencato al principio, questi grandi interrogativi, che si possono chiamare primari, leggendo proprio quello che scrive Nievo, ci portano a chiederci: in che cosa sono diversi da altri? Da quelli, ad esempio, che l’Accademia di Francia poneva nel 1750 circa? Nel 700 la metafisica era stata accantonata, ma i limiti fisici e metafisici erano sempre in luce. E questo era un tema proposto proprio dall’Accademia di Francia al quale rispose, con un saggio giovanile, Jean-Jaques Rousseau.
Il primo scritto di Rousseau, prima ancora delle opere famose, trattava proprio di questo. Ed è un quesito che l’uomo si pone da quando ha cominciato a parlare, ad avere un linguaggio. Questo è il punto di partenza di Nievo, che fa coincidere l’esperienza della vita umana con l’origine del linguaggio, con il principio del verbo.
Si differenziano oggi, questi quesiti, da quelli che venivano posti con gli stessi temi dall’Accademia di Francia come materia di studio per i giovani? Io non dico che siano le stesse premesse del discorso, eppure le domande sono le stesse, la tautologia umana si ripete, ha date, scadenze secolari o millenarie, però si ripete. E questo è interessante. Perché in mezzo c’è stato il grande discorso dell’evoluzione. Quello che è cambiato infatti è il contesto. Allora porsi domande del genere era materia di conflitto, di combattimento. Oggi questa frontiera è superata. Non so se la parola “superata” va bene, ma in ogni caso sono domande implicite in ogni tipo di ricerca.
De Chardin, un grande e famoso gesuita, che è anche scienziato, grande scienziato, pure rimanendo nell’ortodossia fondava il suo stesso sistema di ricerca su questa premessa. Naturalmente su De Chardin ci sarebbe da aprire un discorsetto (qui la registrazione è molto disturbata).
Oggi la nostra grammatica mentale non fa più a pugni, ma non ha messo da parte queste domande, fondamentali per farsi comprendere.
Nievo si basa su questi presupposti. Però Nievo è un umanista. Non nel senso retorico del termine, ma nel senso scientifico. Tutto il suo discorso si concentra sull’esperienza dell’uomo. E la definizione che dà dell’uomo è che noi siamo “l’essere”. Definizione molto metafisica.
Per il resto, e questo è molto interessante in Nievo, non esclude nulla. Dà un colorito più metapsichico che metafisico, però non esclude nulla. E’ giustamente un cauto. Usa molta cautela. E si basa su una quantità di osservazioni dei fatti che dimostrano il cammino dell’uomo e le modificazioni che intervengono nel processo. Tutte queste sono cose sostanziali, che sono argomento reale del discorso.
L’uomo è viaggiatore, come dice Nievo. Nievo considera centrale il viaggio dell’uomo: l’uomo nasce e si giustifica non per stare fermo ma per viaggiare. In questo processo, in questo viaggio ci sono alcune cose positive alcune negative. Nievo non dà un’interpretazione univoca. Dentro la sua lettura tutto viene messo in discussione.
A questo punto passiamo a cose meno accessibili ma più spettacolari che sono in Bruschi. Bruschi affronta il tema della cosmologia che ci viene raccontata in un modo incalzante. E la risposta, che ai quesiti iniziali Bruschi dà, è: dati insufficienti. Risposta che è una risposta un po’ agghiacciante però anche bella, anche promettente. Perché in queste insufficienze c’è molto altro.
Io vorrei che il professor Bruschi parlasse lui di questo, riassumesse. Prima però, proprio per il gusto di leggere, vorrei leggere una mezza pagina. Ecco, lo sto aprendo in questo istante.
“Chi siamo dunque? Effimere strutture vitali di carbonio, qualche volta coscienti. Uomini, non più al centro dell’universo, non più al vertice della piramide della vita. Uomini, la nostra storia è breve, sicuramente sanguinosa e in gran parte oscura. Dati insufficienti. Uomini, prodotto casuale e non necessario dell’evoluzione”. Non necessario. E’ da apprezzare questo. E’ uno dei pensieri che cercavo di esprimere nel presentare il testo di Bruschi. Il non necessario configge con il resto, eppure è bellissimo.
“Fortunati fruitori di un aumento della complessità, aumento di organizzazione, aumento di informazione, restringimento dell’entropia. Eppure anche se, come ho già detto, gli scienziati non hanno resistito alla tentazione di vedere solo cause efficienti e caso dietro tutto questo, e anche dovendo abbandonare un’ingenua e antropomorfica idea di progresso, è tuttavia per lo meno eccitante immaginare l’evoluzione come lotta “sensata” tra kaos e cosmos, tra entropia e sintropia”.
Solo vorrei ancora levarmi questa soddisfazione di leggere questa parte in cui viene presentata una soluzione dinamica. “Tre futuri sono possibili. L’universo dopo aver raggiunto una massima espansione comincerà a restringersi”.
Lo sappiamo che l’universo non è statico, che si espande. Però ci sarà un momento inverso. Comincerà lentamente e inesorabilmente a invertire il ciclo. “Il tempo stesso si invertirà, i cieli torneranno infine luminosi e precipiteremo in una nuova singolarità. Universo ellittico”. Questa è una delle tre ipotesi che vengono fatte. La seconda è: “L’universo continuerà ad espandersi, seppure sempre più lentamente. Il tempo non finirà ma le braci della materia-energia arderanno sempre più fioche. Un “freddo” entropico ucciderà infine ogni possibilità di cambiamento/trasformazione/vita. Universo parabolico”. La terza: “L’universo continuerà a espandersi, ma più velocemente che nel caso precedente. Una più rapida e pietosa “morte termica” porrà fine al tutto. Universo iperbolico”.
Queste sono le tre ipotesi. Veramente straordinaria questa diagnosi.
Su Di Grazia dico meno perché il suo campo è meno appellabile. Anche se devo dire che c’è molta affinità tra il mio modo di sentire e il suo. Abbiamo affidato tutta la responsabilità della conoscenza alla ragione, al sistema razionale. Però la razionalità è sempre in bilico. Io lo sento. E sento che la conoscenza non è solo ragione. Si conosce per tante altre vie, per altre strade.
Certamente questa della razionalità come fondamento di conoscenza è una prerogativa occidentale. Ed è anche la causa della nevrosi dell’uomo moderno perché comporta che una parte dell’uomo è repressa, soffocata. E invece nella prospettiva di Di Grazia viene fuori.