Natale
Alcune informazioni sulla festività natalizie. Per comprendere cosa simboleggiano dobbiamo conoscere la vera tradizione e i rituali che avvenivano in Italia e in Europa.
A cura di Andrea De Pascalis
“È vicino il giorno in cui capiremo che Gesù non intese dar vita a una nuova “religione”, ma abbattere tutte le barriere che impediscono all’uomo di essere fratello all’uomo.”
I Vangeli nulla dicono circa il giorno, il mese e l’anno in cui è nato Gesù. Per il mondo cristiano, dunque, si presentò subito l’esigenza di ovviare a tanto silenzio, fissando il giorno esatto della nascita del Salvatore, sia per amore di verità storica che per poter celebrare l’avvenimento.
All’inizio ci fu un pò di confusione, testimoniata dalle opinioni contrastanti dei primi Padri della Chiesa. Per Clemente Alessandrino (Stromata) vi erano tre date possibili il 25 Pachon (20 maggio), il 15 Tybri (10 gennaio) e l’11 Tybri (6 gennaio). S. Cipriano (De pascha computus) fissava la data della nascita di Gesù al 28 marzo. S.Ippolito nel Commento al Libro di Daniele indicava il 2 aprile dell’anno 5.500 del mondo (752 dalla fondazione di Roma).
Pian piano le date possibili finirono con l’essere soltanto due. Nel corso del IV sec., infatti, Oriente ed occidente celebravano la ricorrenza rispettivamente il 6 gennaio e il 25 dicembre. Poi sotto l’influsso occidentale, anche l’Oriente accettò la data del 25 dicembre, mentre si passò a celebrare il 6 gennaio il battesimo di Gesù (in Oriente) o l’arrivo dei Magi (in Occidente). Sappiamo anche che in pochi decenni la data del 25 dicembre fu accettata da tutto il mondo cristiano: Egitto (432), Palestina (430), Siria (386-89).
Ma perchè proprio il 25 dicembre? Le spiegazioni possibili sono due, e non è detto che una escluda l’altra. La prima ipotesi parte dall’importanza accordata anticamente al giorno dell’equinozio primaverile, il 25 marzo (più tardi il 21 marzo), ritenuto il quarto giorno della creazione, quello in cui Iddio separò il giorno dalla notte, formando il Sole. Il riferimento ad un passo del Libro di Malachia (3:20) in cui si profetizza l’avvento di un “Sole di giustizia”, identificato dall’esegesi con Gesù Cristo, condusse all’idea che il Salvatore, iniziatore di una nuova creazione, incarnatosi per fare luce, la dove era tenebre, dovesse essere stato concepito il 25 marzo (e questa è la data in cui si celebre ancora oggi l’Annunciazione). Considerando i nove mesi di gestazione, la nascita di Gesù doveva quindi collocarsi il 25 dicembre.
La seconda ipotesi fa anch’essa riferimento, sia pure in modo indiretto, alla profezia sul “Sole di giustizia”. Il 25 dicembre era il giorno del solstizio invernale, dell’avvenimento astronomico che segnava l’inizio di un nuovo dilatarsi del periodo di luce giornaliero. Sul piano simbolico. Ovunque si adorasse il Sole quello era il giorno in cui il dio solare rinasceva dopo morte simbolica.
Secondo i Greci, Dioniso era nato da una vergine il 25 dicembre; per gli Egizi Oro, figlio di Osiride, era stato concepito il 25 marzo ed era nato il 25 dicembre. Anche un altro dio della luce di antica origine indoeuropea, Mithra, divenuto nel mondo ellenico-romano un dio solare, vedeva celebrare la sua nascita il 25 dicembre. Anzi sul finire del III sec., l’imperatore Aureliano aveva istituito il culto statale dei Comes Sol Invictus, la cui festa primaria era il dies Natalis Solis Invicti, fissata – com’è intuibile – al 25 dicembre.
Questo giorno, dunque, era celebrato in tutto l’impero romano come festa della nascita del Sole. Fissare nello stesso giorno la ricorrenza della nascita di Gesù, il Sole di giustizia, era un fatto che scaturiva dunque, oltre che da calcoli e da profezie, dall’opportunità di opporre una festa cristiana alla festa pagana. Del resto, di coincidenze con altri culti è piena tutta la cronaca evangelica riguardante la nascita di Gesù.
Il mito di Mithra narra che il dio nacque dalla roccia e che all’avvenimento assistettero alcuni pastori che al bimbo divino offrirono doni. E come non ricordare che il culto di Mithra si celebrava in una grotta? E che un Salvatore, nato da una vergine in una grotta, era atteso dai seguaci di Zoroastro, oltre che da quelli di Mithra?
Come sottolinea il professor Mario Bussagli (I Re Magi, Ed. Rusconi 1986): “L’attesa del Salvatore non è limitata solo al Messia e al mondo ebraico (…) Mithra è probabilmente la sorgente da cui deriva il Bodhisattva Maitreya (…) destinato a divenire il Buddha del futuro il quale predicherà la Legge a un’umanità diversa, migliore, più grande e chiaroveggente. Con sfumature enormemente diverse l’aspirazione a un Salvatore, a un Soccorritore, a un mondo diverso e migliore riempe di sé, fra il II sec. a. C. e il III sec. d.C. gran parte dell’Europa e dell’Asia espandendosi poi fino al Giappone ove Maitreya è chiamato Miroku..”Ricordare queste coincidenze ci permetterà, più avanti, di comprendere meglio il significato simbolico dell’adorazione tributata dai Magi a Gesù.
Tornando al Natale, è chiaro che oggi per la dottrina cristiana il 25 dicembre non costituisce la data reale della nascita di Gesù, ma è soltanto il giorno in cui, per convenzione, si commemora l’avvenimento. Ma il mistero delle Scritture continua ad alimentare curiose interpretazioni, come quella proposta dal cardinale Borgongini Duce (Le XX settimane di Daniele e le date messianiche, 1951).
Il cardinale, studiando il capitolo IX di Daniele, mediante calcoli numerici delle 411 parole ebraiche che lo compongono, specie le ultime 80, e dei valori crittografici che esse contengono, arrivò ad affermare che il Cristo si è incarnato il 30 marzo del 5 d. C., nacque il 25 dicembre dello stesso anno e morì il 7 aprile del 30 d. C. al termine di una vita di 33 anni, 3 mesi, 3 settimane.
Festa Religiosa, Festa Profana
Nata come festa dal profondo significato religioso (l’Avvento del Messia), oggi il Natale è anche una festa mondano-consumistica. Per quanto strano possa sembrare, ciò costituisce un ritorno all’antico, al precristiano, al pagano.
Nel calendario romano i giorni dal 17 al 24 dicembre erano dedicati alla celebrazione dei Saturnalia, la festa in onore del dio Saturno. Dopo la cerimonia di sacrificio nel tempio del dio, le autorità religiose e civili davano vita ad un convivium publicum, mentre nelle case si festeggiava con banchetti in ambito familiare. Caratteristica saliente della festa era la sospensione momentanea dell’ordine costituito. Al grido di Io Saturnalia la normalità veniva infranta e le consuetudini rovesciate: il padrone serviva lo schiavo, era consentito il proibito gioco dei dadi, erano permessi scherzi e bizzarrie altrimenti intollerabili. Si eleggeva un Saturnalicius priceps, il “re” della festa, cui venivano trasferiti per tutta la durata del Saturnalia i poteri dell’autorità costituita. Ai bambini venivano regalate bambole, gli adulti si scambiavano doni e auguri. Non a caso il nostro “strenna” deriva dal latino strena, che significa presagio, augurio, ma anche dono augurale.
In epoca cristiana, decaduti i Saturnalia, i caratteri della festa furono trasferiti in parte al Capodanno e in parte al Carnevale. Ma l’usanza dei banchetti familiari, con lo scambio di doni e di auguri, è evidentemente rimasta anche in riferimento al Natale.
Origini più incerte, ma quasi certamente nordiche, ha invece l’usanza dell’albero di Natale. Secondo talune fonti, in alcuni paesi nord-europei, i giorni che precedevano il Natale erano dedicati alle “Feste del Paradiso”. Poiché antiche leggende riferivano che la croce di Cristo era stata costruita con legno tratto da un albero nato da un germoglio dell’Albero della Conoscenza, nelle “Feste del Paradiso” quest’albero veniva decorato con mele e nastri. Da quel modello sarebbe derivato l’albero di Natale. Non è improbabile che la stessa “Festa del Paradiso” richiamasse una precedente festività pagana. Lo storico Procopio (VI sec.) descrive una festa nell’Estremo Nord (Thule) per celebrare il ritorno del Sole (solstizio d’inverno), così come miti e leggende nordici richiamano usanze collegate al solstizio e al suo potere sulla vegetazione.
Anche le luci poste sull’albero natalizio sembrano trovare precedenti simbolici nelle storie nordiche. Nelle antiche leggende islandesi si fa cenno ad un frassino di montagna che nell’epoca natalizia si ricopre di luci che neanche la più forte tempesta riesce a spegnere. Nel ciclo del Graal, Percival attraversa un bosco illuminato con mille candele; in un’altra storia per due volte il cavaliere Durmals, attraversando anch’egli un bosco, vede un magnifico albero coperto di luci dalla cima alle radici: in entrambi i casi le luci sono simbolo di raggiunta saggezza.. Nel folklore celtico le bacche rosse del sorbo sono ritenute fonte di saggezza. Oggi è impossibile stabilire a quali significati facesse riferimento il primo vero albero di Natale, ricordato in una cronaca del 1605 a Strasburgo.
Un’origine pagana va attribuita quasi certamente anche all’usanza natalizia di appendere sulla soglia di casa rametti di vischio in quanto propiziatori di benessere. E’ Plinio ad informarci (Naturalis Historia XXIV,193-194) della tecnica rituale di raccolta del vischio presso i Celti e del significato magico che a tale piante attribuivano i Druidi: i Celti chiamavano il vischio “quello che guarisce ogni cosa” e ritenevano che da esso si ricavasse una bevanda che costituiva una specie di antidoto universale.
Anche Babbo Natale ha un passaporto nordico. Il suo antenato è però latino e si chiama Nicola, santo, vescovo di Mira verso la metà del IV secolo. Il culto di S. Nicola, patrono dei giovani e dei bambini, si diffuse per singolari motivi dalla meridionalissima Bari ai settentrionali paesi germanici, dove il santo cambiò il suo nome in Nicolaus ma restò patrono dei bimbi. Il calendario fissa la sua festa al 6 dicembre. Dopo la Riforma, i protestanti di Germania, Olanda e Svizzera affidarono a lui il compito di portare doni ai fanciulli, attribuendogli- in una commissione di miti – un’origine polare e una slitta trainata da renne come mezzo di locomozione. Gli americani, con il loro amore per la sintesi, gli affibbiarono infine il nomignolo di Santa Claus.
Innegabile è invece l’origine cristiana del presepio. Secondo la tradizione il primo presepio fu allestito da Francesco di Assisi nel 1223 nella grotta di Greccio (Rieti).
Sembra tuttavia che già nella prima epoca cristiana i fedeli di Gerusalemme usassero celebrare il Natale nella stessa grotta di Betlemme nella quale si voleva fosse nato Gesù. Il presepio deve il suo nome al Vangelo di Luca (2:7), lì dove si narra che la Vergine diede alla luce il suo primogenito, lo avvolse in fasce e “reclinavit eum in praesepio”, cioè “lo adagiò in una mangiatoia”.
Nel vangelo invece non c’è traccia del bue e dell’asinello, la cui presenza è attestata soltanto negli Apocrifi.
Nella liturgia la festività natalizia è caratterizzata, sin dal VI sec., dall’uso di celebrare tre messe.
Per il simbolismo medievale ciò avveniva in omaggio alla triplice nascita di Gesù: nell’eternità, nel seno del Padre; nel tempo, da Maria Vergine; nell’anima dei Cristiani.
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