Nel 2006 Majorana era ancora vivo
di Alberto Lori
Era il marzo del 1938 quando Ettore Majorana scomparve. Abbandonò la sua cattedra di fisica dell’Università di Napoli, s’imbarcò sul traghetto che lo avrebbe portato a Palermo, ma venne ingoiato dalle nebbie del mistero.
Che cosa era successo? Lo avevano rapito? Si era tolto la vita o aveva volontariamente fatto perdere le tracce? Se è vera quest’ultima ipotesi, perché aveva preso questa decisione? Che cosa si erano detti Majorana ed Heisenberg? Aveva temuto davvero le conseguenze della scissione dell’atomo cui erano giunti Enrico Fermi e i suoi amici del gruppo “i ragazzi di via Panisperna”?
Venti anni più tardi, nel 1958, un giovane di 20 anni in visita con la famiglia in un monastero del profondo sud italiano, si vide venire incontro uno strano tipo che non era un monaco, non di alta statura, magro, affetto da una lieve zoppia, dallo sguardo particolarmente vivido, che gli mise tra le mani un problema di matematica, dicendogli che l’avrebbe rivisto volentieri una volta che l’avesse risolto.
Rolando Pelizza, così si chiamava il giovane di origine lombarda, ne trovò la soluzione la notte stessa e l’indomani mattina tornò a presentarsi al monastero. Lo sconosciuto sembrò apprezzare il suo talento con i numeri. Disse di essere un appassionato di materie scientifiche e di volergli insegnare, se lo avesse voluto, i fondamenti della sua matematica e della sua fisica. Rolando, nonostante non avesse titoli accademici ma fosse soltanto un imprenditore, accettò con entusiasmo.
Soltanto un anno più tardi, raccontò Rolando, lo sconosciuto scienziato gli confessò di essere Ettore Majorana.
Gli rivelò anche che, grazie alle capacità dimostrate, lo aveva riconosciuto degno di diventare il suo braccio operativo nella costruzione di una macchina in grado di tradurre in realtà le sue teorie d’avanguardia, una macchina che avrebbe permesso all’umanità di compiere un balzo evolutivo enorme.
Man mano che le lezioni procedevano, Rolando si convinse di essere in grado di realizzare fattivamente quella macchina straordinaria. Così una mattina mentre sedeva accanto al maestro nella sua cella se ne uscì dicendo: “Penso proprio di poter assemblare la macchina!” Majorana lo guardò di sottecchi. “Sono più che certo che saresti in grado di montarla, però te lo sconsiglio”.
Il maestro sapeva che la messa in opera di quella macchina avrebbe comportato grossi pericoli per il giovane Pelizza, ma Rolando era testardo oltre che impavido e negli anni a seguire impegnò tutto sé stesso nella costruzione della macchina.
Erano quattro le fasi che Majorana aveva fino allora ipotizzato e dedotto dalle sue migliaia di elaborazioni matematiche e fisiche. Rolando aveva assimilato queste fasi e le aveva tenute ben presente pur nella loro schematica essenzialità.
Erano quattro le possibilità di azione della macchina:
Innanzitutto, l’annichilimento della materia: il congegno avrebbe prodotto antiparticelle di antimateria e l’antimateria a contatto con la materia avrebbe prodotto energia tanto da distruggere qualsiasi materiale e il suo uso pacifico – era questo l’interesse precipuo di Majorana – avrebbe comportato l’eliminazione dei rifiuti e delle scorie radioattive e tossiche senza alcun inquinamento.
In secondo luogo, grazie al riscaldamento della materia, enormi quantità di energia pulita, a costo zero.
La terza fase era la trasmutazione della materia. In altre parole, diventava possibile agire sulla struttura atomica degli elementi trasformandoli: era il sogno alchemico realizzato della trasmutazione del piombo in oro.
Infine, la traslazione della materia, ovvero l’invio in altre dimensioni anche di esseri umani, con effetti a dir poco straordinari.
Sembrava vera fantascienza almeno sulla carta, ma la costruzione via via dei primi prototipi, sia pure con alterne vicende, da parte di Rolando Pelizza finì con il dimostrare che la macchina con tutte le sue prodigiose potenzialità poteva essere realizzata.
In una delle prime lettere scritte da Majorana a Pelizza, lo scienziato volle mettere in guardia il giovane: … devi essere molto prudente. Disegni e dati non sono molto importanti; la formula invece va ben custodita. Per nessun motivo deve cadere in mano di altre persone: sarebbe la fine, di sicuro. Prima di decidere se accettare o meno il compito di realizzarla, devi sapere bene a cosa andrai incontro. Almeno questo è il mio parere, ricordalo bene. Nonostante il mio desiderio di vedere questa macchina realizzata sia immenso per il bene dell’umanità… voglio che tu rifletta prima di decidere: da questo dipenderà la tua esistenza.
Mai parole risultarono tanto profetiche. Pelizza si dette anima e corpo per realizzare il desiderio del suo mentore, nonostante che da quel momento in poi iniziasse il suo calvario psicologico, fisico e morale. Nella sua grandezza d’animo pensava che il dono di questa macchina all’umanità fosse un suo preciso impegno, ma non mise in conto che ciò che desideravano i governi occidentali, compreso il nostro, non era offrire al genere umano un salto qualitativo in termini di progresso ma soltanto soddisfare i propri deliri di onnipotenza giacché attratti dalla macchina soltanto per le sue prerogative di arma micidiale.
Non era questo lo scopo di Majorana e di Pelizza. Soprattutto quest’ultimo, fedele fino alla morte alla parola data, preferì vedersi espropriare dei suoi prototipi, perfino dei suoi stessi risultati, sottoporsi a periodi di detenzione, esili forzati, ma non rivelò mai i codici alla base dell’invenzione.
Fu persino accusato di avere inventato la figura di Majorana e l’epistolario tra il maestro e lui, ma le foto e il filmato che lo ritraeva accanto allo scienziato ebbe l’imprimatur dell’ing. Vitiello, perito forense che confermò la validità delle straordinarie immagini. Altrettanto fece la grafologa Chantal Sala di Pavia che sottopose a perizia calligrafica le lettere autografe di Majorana, 13 in tutto, di cui l’ultima datata 2006, confermandone la validità.
Resta da chiedersi chi sono gli uomini che si sono impossessati senza mai lasciare tracce dei prototipi, tra l’altro del tutto inutili senza le formule, e persino dei cubi di gommapiuma trasformati in oro puro, prova provata della trasmutazione della materia.
Chi voleva impedire l’utilizzo completo della macchina? E dov’è ora Majorana? È morto ultracentenario o è rinchiuso in qualche resort di lusso, guardato a vista dai servizi segreti? Sicuramente il velo del mistero è tornato ad ammantare lo scienziato.
Ho conosciuto Pelizza l’estate scorsa con Alfredo Ravelli, lontano cugino dell’imprenditore e suo biografo autorizzato, autore di splendidi libri sulla vicenda. Avevo stimato Rolando grazie agli scritti di Alfredo, ma conoscendolo di persona, ho potuto apprezzare ancora di più in lui la modestia, il coraggio, l’integrità, la forza d’animo e quando il 22 gennaio scorso, ha lasciato il corpo, mi sono sentito come defraudato dell’amicizia di una gran bella persona.
Addio, Rolando, che il tuo ritorno a casa ti sia lieve come una brezza sulle ali di una farfalla.
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