In una notte insonne di qualche anno fa, decisi di scrivere dei pensieri, fluirono abbondanti, senza freno.
Mi trovai in uno stato alterato di coscienza per circa tre ore, alla fine avevo “tirato fuori” 80 poesie ed un racconto breve. C’era di tutto. Il tempo si era annullato. Ricordi antichi ed etruschi occhieggiavano tra emozioni di quel presente e la voglia del dire aveva trovato una sintesi nel mondo confuso delle parole, mantenendo la forza della musicalità evocativa.
Vedevo quello che scrivevo, ero lì, parte delle storie, personaggio e spettatore, con il senso ampliato dell’amore, della comprensione verso il tutto.
Quel lavoro rimase per anni chiuso, poi la decisione di renderlo, in parte, pubblico. Non so bene perché, ma sento che è giusto così.
Umberto Di Grazia – 1 gennaio 1995
PREFAZIONE di Augusto Marcelli
Nell’attesa generale, consapevole oppure no, di una rivoluzione che gli organismi deputati ci rifiutano, Umberto Di Grazia si accinge a farla. Più esattamente, l’ha già cominciata.
E’ una rivoluzione che viene da lontano e che, forse per questo, non sembra ancora giunta a scalfire la corteccia del rituale, culturale e politico, presente. Quella di Umberto Di Grazia è una rivoluzione morale e filosofica. Da anni la porta avanti, mendicando per via, ogni mezzo buono a diffonderla; la parola, la carta stampata, ogni sistema di informazione sia lineare che globale, la televisione, la musica.
Ha abbandonato il lavoro, è privo di mezzi, corre da un capo all’altro dell’Italia, parla a folle strabocchevoli, guarisce malattie croniche, predice terremoti con esattezza impressionante, ha scritto queste poesie. In altra epoca, avrebbe trovato facilmente un mecenate che l’avrebbe ammesso alla sua corte e, altrettanto facilmente, un papa che l’avrebbe mandato al rogo. Perché tutto quello che Umberto Di Grazia fa è magico e misterioso, alchemico e negromantico. Tutto ciò che egli vede, dice o scrive viene da altri tempi e si dirige, crediamo, verso tempi diversi dal nostro, come un ponte continuo che ci scavalchi.
Il presente attuale è soltanto la dimensione in cui i fatti si manifestano. Ai fini delle profezie, il presente in cui viviamo non appare per niente riciclabile. In altri tempi, ci sono altri uomini come lui. Ermete Trismegisto, il profeta Ezechiele, l’evangelista Giovanni, Cayce il veggente. Tutti staffetta di una lunga corsa parallela ai secoli, ciascuno messaggero di ordini e di informazioni da tramandare: sul destino del mondo, sul confine sempre meno disputabile tra il male e il bene.
Con gli occhi mai distolti dal remoto del prima e del poi, Umberto Di Grazia guarda, vede e ascolta; città sepolte dentro la terra
che gli archeologi ritrovano, guerre dimenticate dalla Storia che gli storici riscoprono, parole che millenni fa furono dette da saggi autentici e forse per questo ignorati, e che sembrano almeno per ora, le più adatte e le più giuste per saldare il distacco tra questo tempo di angosce e un avvenire più chiaro.
Parlare di paranormale è nello stesso tempo obbligatorio e scontato. Umberto Di Grazia sarebbe un paranormale, se qualcuno sapesse veramente che cosa è il paranormale. Noi cominciamo fortemente a sospettare che il paranormale possa essere la definizione di una norma dalla quale ci siamo allontanati, (uniche alternative il rogo e la fossa dei serpenti) sotto le spinte parallele di un sistema teologico e di un sistema scientifico che ora soltanto, giunti in fondo al vicolo cieco della loro arroganza, cominciano ad ammettere altre e diverse alternative.
Umberto Di Grazia non ha aspettato l’imprimatur dei teologi o il nulla osta dell’inquisizione scientifica.
Si è mosso prima, appena cioè la staffetta precedente gli ha consegnato il plico. E’ da quel momento che si è messo in viaggio. Etrusco e normanno per ascendenza, è prevalentemente condizionato, spaccato quasi, dai mondi rispettivamente lontanissimi, di tali antenati. Di essi ci riporta, alcune volte prove tangibili e scomparse, altre volte echi dispersi e memorie dimenticate, assieme ad ammaestramenti ancora oggi “proibiti”. Una sua lirica comincia così: “Rumore d’odio- – torna dal tuo padrone – paura di vivere – torna dal tuo padrone – disarmonia dell’essere – torna dal tuo padrone”. Un’altra dice: “Hanno costruito un tempio – alla confusione – hanno costruito una casa – alla paura – stanno costruendo un farmaco – alla speculazione – e tu piangi, sacro essere, – della morte pazza – mentre tremanti mani – si avvicinano a te – ti chiedono il perché – urlando di rabbia.
All’inizio abbiamo parlato di rivoluzione, non quella delle barricate cui ora i rivoluzionari stessi guardano con imbarazzo, ma quella delle idee e delle coscienze che eppure, in altri tempi, alcuni poeti annunciarono e iniziarono.
Poeti come lo schiavo Ezechiele che tentò di farla a Babilonia, nel cuore dell’impero nemico. O come Giovanni che, esiliato a Patmos, bollò con parole di fuoco e maledisse la puttana adagiata sopra i sette colli, allora padrona del mondo. Di essi, Umberto Di Grazia, nostro contemporaneo, ha ripreso il messaggio e continua il dovere.
Ha rinunciato alle maledizioni che usavano i veggenti del passato e non piange sopra questa o quella Gerusalemme, sapendo in anticipo che, tanto, finiranno distrutte. Cerca solo di seminare piccole idee e parole in terreni che le porteranno ma domani, non oggi, a diventare alberi.
Augusto Marcelli. Roma, 17-10-76
Di seguito i video con le poesie di Umberto Di Grazia pubblicati su YouTube:
Foto di Rosa Moncada ispirate alle poesie del libro
Uomo folle per le tue misure
che distruggi per capire
fermati alla fonte.
Respira la tua aria
apriti alla realtà
amati nel tuo essere
nel tuo silenzio fatto di urla
amati..!
Facendo cadere le maschere di legno antico
le morali di legno antico
amati..!
E capirai
Nel mio dolore
ho trovato un maestro.
Era fermo e giusto,
sapiente e incontentabile.
A lui ho offerto i miei resti.
Li ha presi delicatamente,
portandoli oltre il sole.
Amico figlio, figlio amico
non piangere per l’uomo
non piangere per le sue false voglie.
Amico figlio, figlio amico
sorridi e sorriditi
canta il tuo canto
corri la tua corsa.
Avrai la forza se essa ti serve
avrai la luce se essa ti serve.
Non piangere per l’uomo
non piangere per le sue false voglie.
Grida il dolore al vento
parla delle tue mutilazioni.
Racconta dello sguardo pietoso,
di come sei tenuto lontano,
affamato e sporco;
della speranza che viene dalla voce dell’infanzia che ti parla della bella fine
di cavalli bianchi,
di cavalieri ideali.
Grida il tuo dolore al vento.
Con mano ferma chiudi le nuove ferite
e grida.
Grida il tuo esistere,
gridalo al vento.
Ho cercato il parlare
confuso
assalito
ferito
ho ascoltato le colpe non dette.
Ho cercato il silenzio
confuso
apparente
mutilato
ho ascoltato le colpe non dette.
Ho cercato l’altare dei perché
fermo presente
stanco da sempre
mi aspettava fiducioso.
Mi sono perso nei tuoi occhi.
Ho visto la tua anima.
Mi sono fuso in te
per un attimo.
Poi, nulla,
se non la falsità
che dice:
non devi sapere.
Vivi strappando il giorno,
urlando i dolori che la società vuole,
mentre io piango il dolore
sui burroni dagli echi profondi.
Dedicato alla “Donna della Torre”
Morirò presto
ma prima invocherò il tuo nome:
Biba!
E l’urlo sarà così grande
che stordirà il Dio distratto
che infastidito, mi spingerà ancora
nella vita
Così ti amerò di nuovo
e questo lo farò sempre.
Allora gli Dei, tediati
faranno di noi
finalmente
una cosa sola.
Non chiuderti come conchiglia;
non c’è tempo.
Non nascondere il tuo conosciuto;
non c’è tempo.
Apriti e corri: corri sull’erba bagnata
corri sul mare di lava
corri e racconta
corri e deponi il seme.
Ci sarà un’altra estate.
Ho cercato le tue mani.
Sono andato sulle alte cime
dove il respiro manca.
Sono andato nei profondi abissi
dove il respiro manca.
Ho guardato nelle ere arcane.
Ho frugato e guardato
ho guardato e frugato
ma niente, del più niente.
Solo lacrime e dolore
solo promesse mai mantenute
solo speranze di un eterno amore.
Brucia il mio corpo
perché gli è negato un sorriso.
Brucia il mio corpo
perché non sente il tuo tocco.
Mitico amore dallo sguardo lontano,
forma sottile piena di tutto.
La mia mente non riesce a fermarti.
Le mie mani non possono toccarti.
Ti parlerei dell’infinito,
ti porterei lontano,
cercando insieme il profondo.
Fermati.
Possiamo capire;
ma tu fuggi, sfidandomi nel tempo,
carosello eterno del visibile.
Ferma è la mia mente,
ferma oltre la distruzione.
Ti inseguirò per sempre,
sino alla sorgente.
Seduto sopra un masso,
di un sentiero in salita, incontrai un vecchio.
Senza età era il suo sguardo
senza odio il suo corpo.
Mi porse la sua mano ossuta,
ricoperta di muschio e di rugiada.
In silenzio sedetti vicino a lui.
Parlò dell’uomo
guardando una foglia.
Parlò del bene e del male
guardando il mondo
ed io non capii.
Allora si alzò sorridendomi
e fece segno di proseguire.
Continuo con lui il mio andare
e non ci fermiamo più a sostare.
Non vogliono che si sappia,
rispondono mentendoti;
ma tu – spirito libero del conoscere –
naviga per il tuo mare,
affonda le tue reti.
Diranno di non capirti,
cercheranno di fermarti,
odieranno, non potendoti derubare;
ma tu – spirito eterno del conoscere –
naviga per il tuo mare.
Hanno costruito un tempio
alla confusione.
Hanno costruito una casa alla paura.
Stanno costruendo un farmaco
alla speculazione
e tu piangi – sacro essere –
della morte pazza,
mentre tremanti mani
si avvicinano a te,
ti chiedono il perché,
urlando di rabbia.
Ho fatto un sogno stanotte.
Ero tra gente antica.
Viveva nei profondi fossi,
nascosta tra il verde,
baciata dal sole,
baciata da limpida acqua.
Parlavano del bello,
parlavano del giusto.
Conoscendo la tecnica
dicevano dell’anima.
Conoscendo il volo
dicevano della terra
ed io ho sognato con loro.
Non ho detto di noi,
provavo un profondo dolore.
Loro mi sentirono
e mi sorrisero
Di seguito trovate i link ad alcuni video con poesie dell’antico Egitto e pensieri di Umberto Di Grazia pubblicati su YouTube:
Amore Eterno..Amore Infinito.. (prima parte)
Amore Eterno..Amore Infinito.. (seconda parte)