VEDO ANTICO, ANZI ANTICHISSIMO

di Pippo Cappellano, Alberto Manodori e Paolo Colantoni

Organizzate ad Ustica da Mondo Sommerso le ricerche hanno condotto alla scoperta di resti di civiltà preistoriche.

Per la prima volta in Italia, nelle acque di Ustica è stato eseguito un esperimento di verifica archeologica con l’ausilio di un parapsicologo. L’esperimento, organizzato da Mondo Sommerso, è stato filmato per la rubrica “Sereno Variabile” della seconda rete della Rai TV, condotta da Osvaldo Bevilacqua e Maria Giovanna Elmi. Il protagonista, Umberto Di Grazia, e stato seguito da un équipe di scienziati tra cui l’archeologo Alberto Manodori e il geologo Paolo Colantoni.

Lo scopo dell’esperimento era di verificare i punti segnati su una mappa archeologica dell’isola, preventivamente redatta da Di Grazia e quindi depositata presso il notaio Romano Condemi. Questo test, che ha chiaramente dato adito a polemiche, si è concluso con la sconcertante scoperta di alcuni oggetti di interesse archeologico e dei resti di antichissime abitazioni che il parapsicologo ha “visto” in fondo al mare di Ustica. Il nostro esperimento non è però da considerarsi un fatto isolato; negli Stati Uniti già da molti anni si conducono esperimenti analoghi e in qualche Paese la collaborazione tra la scienza ufficiale e i chiaroveggenti – gli “uomini col terzo occhio” come a volte vengono definiti – diventa sempre più solida. Negli Stati Uniti c’è una fondazione che tiene testa alle più famose finanziarie e multinazionali: Cayce Fondation, costituita dopo la morte del grande “profeta dormiente” come veniva definito Edgar Cayce.

Chi era quest’uomo? Un visionario, uno stregone, un ciarlatano, oppure un chiaroveggente, cioè un uomo che ha saputo recuperare facoltà ormai atrofizzate in tutti noi? Cayce era un piccolo uomo modesto, schivo di velleità pubblicitarie e lontano dalle ricchezze. Non si circondò mai di quegli apparati e di quei simboli che da sempre hanno accompagnato gli indovini. Egli stesso da sveglio si riteneva nulla più di un povero ignorante, ma è indubbio che Cayce sia stato uno degli uomini più misteriosi ed insondabili del nostro secolo. Per mettere a fuoco questo personaggio, basti pensare alle decine di sue profezie puntualmente avveratesi, alle migliaia di malattie da lui perfettamente diagnosticate, alle ricostruzioni storiche che allora erano impensabili e che adesso si cominciano ad intravedere.

Abbiamo voluto citare questo personaggio perché Cayce ha avuto un posto d’onore nella ricerca della psiche che non è da considerarsi un fatto isolato. Procediamo con la nostra storia sulla banchina di Los Angeles, ecco alcuni uomini barbuti in camice bianco, indaffaratissimi. Sotto il taschino, accanto al bip cerca persone, portano il marchio del Mobius Group.

Sembrerebbero far parte di un’impresa spaziale a considerare la potenza dei loro mezzi: dispongono addirittura di un grosso batiscafo che sta per essere imbarcato su una nave oceanografica, pronta a partire per l’isola di Santa Catalina.

Di che si tratta? E un esperimento di ricerca in mare, che sarà eseguito utilizzando dei parapsicologi, dei “medium” per intenderci. I chiaroveggenti si concentrano a segnare su di una mappa il luogo in cui è affondata una nave che non è mai stata trovata: una nave colata a picco in circostanze misteriose, con un carico sconosciuto, in un punto non ben definito.

Nel monitor imbarcato sul battello appoggio le immagini che provengono dal robot utilizzato nella spedizione.

Durante le prime immersioni, il sottomarino Ico non trova alcuna traccia del relitto, sicché cominciano a sorgere dei dubbi sulla validità dell’impresa. L’esperimento rischierebbe di fallire, se l’uomo che ha coordinato il tutto, Schwartz, non decidesse di portare sul posto i “medium” a bordo della nave. La zona su cui sono segnate le coordinate appare come un puntino, in un’area che è vasta ben 1500 miglia quadrate. Ad un tratto, ecco il colpo di scena; ad un cenno dei “medium” la nave si ferma: “il relitto è proprio qui sotto”, dicono, “a 180 yards di profondità.

Nella stiva abbiamo “visto” uno strano monolito di roccia”.

La cosa si fa più emozionante, l’umore che nei giorni precedenti era calato di tono sale ora alle stelle. Il batiscafo viene calato in mare davanti all’isola di Santa Catalina, scivola sul fondo sabbioso, avanza lentamente sotto le indicazioni dei “medium”.

Mentre gli uomini dell’Ico scrutano il fondale con occhi attenti attraverso il grande oblò sferico, qualcosa viene illuminata dai potenti fari del batiscafo: si tratta sicuramente dei resti di una nave. Il braccio meccanico dell’Ico agguanta le lamiere divelte del relitto, avanzando lentamente, mentre l’emozione a bordo si fa irrefrenabile. E infine ecco la pietra nera: perfettamente squadrata, così come l’avevano descritta gli uomini che la natura ha fornito del “terzo occhio”, la PSY.

L’esperimento è senz’altro riuscito.

Roma, alle ore 16 dell’ultima domenica di giugno.

“Ho deciso di aprire la carta nautica dell’isola di Ustica. Questa volta non posso solo guardarla, ma devo segnarvi quello che l’intuito mi suggerirà”.

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La mappa archeologica depositata presso il notaio dove Umberto Di Grazia ha preventivamente segnato i luoghi dei ritrovamenti.

Chi parla è Umberto Di Grazia, ricercatore psichico come lui stesso si definisce e protagonista dell’esperimento di Ustica. “Ormai, dopo molti anni di esperimenti fatti in varie parti del mondo, so come prepararmi per ottenere dei risultati, ma non posso sapere quali elementi del passato stanno per affiorare. Di una cosa però ero certo fin dall’inizio:

Ustica era stata, in un periodo molto lontano, un’isola particolarmente importante, con una storia ancora da narrare”. Vediamo Di Grazia che comincia a toccare leggermente la superficie della mappa, poi chiude gli occhi e cerca di fare un vuoto mentale. “Iniziano ad affiorare, come sospinte dalla “fantasia”, alcune immagini incerte, dai contorni offuscati: strane navi di legno che si muovono pigramente spinte da lunghi remi”, prosegue Di Grazia, descrivendo le sue sensazioni. “Rimango affascinato dal loro movimento. Poi provo a sondare qualche altro particolare.

Stringo le palpebre degli occhi, metto una mano sopra di loro, come cercando di chiudere ogni contatto con la luce che si riflette sulla mappa bianchissima. Dopo alcune profonde respirazioni abbandono la tensione muscolare, raggiungo in breve quella buona condizione psicofisica, che è ideale per fermare le immagini, sempre veloci e confuse, della mente. I rumori esterni alla mia casa, purtroppo sempre presenti, incominciano ad attenuarsi. Per un attimo credo di percepire un acuto odore di acqua marina”.

Di Grazia rivede ancora le navi, le stesse di prima, da un’altra prospettiva può vedere su 360°, ora sono chiari gli ornamenti delle prue che rappresentavano la testa di un cavallo. Questo particolare si ripete più volte, ma tutto appare estremamente logico: il sensitivo ha proiettato un’informazione che già conosceva, infatti il simbolo del cavallo era stato largamente usato dai Fenici, come dice la Storia, antichi abitanti dell’isola.

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Umberto di Grazia tra i resti scoperti grazie all’intuito.

Di Grazia ci spiega che deve distrarsi, altrimenti non riuscirebbe ad avere dati interessanti per la ricerca. Si alza dal tavolo, accende la filodiffusione. Sono le 16,20 ed il lavoro deve essere portato avanti a qualunque costo, perché il giorno dopo deve incontrare l’archeologo Alberto Manodori, insieme a Pippo Cappellano, presso il notaio Franco Condemi dove occorre depositare la sua mappa di ipotesi archeologica di Ustica. E’ la prima volta che in Italia si riesce a coinvolgere più persone in una ricerca storica ed archeologica, effettuata attraverso i poteri latenti della mente umana. Il progetto di Ustica, oltretutto, andrà in onda sulla seconda rete della Rai -TV per la rubrica “Sereno Variabile”. Le riprese filmate verranno eseguite da Pippo Cappellano, che si occuperà anche del servizio per Mondo Sommerso. La parte scientifica sarà curata dall’archeologo Alberto Manodori dell’Università di Roma, noto per le sue importanti pubblicazioni, per le sue scoperte, e per le rubriche della Rai che ormai conduce da anni. Di Grazia ha già provveduto ad avvisare i vari centri di ricerca internazionali con i quali è collegato.

L’esperimento di Ustica si effettuerà in occasione del XXV anniversario della Rassegna Internazionale delle Attività Subacquee.

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Alberto Manodori, l’archeologo che ha seguito l’esperimento, osserva la mappa nel luogo in cui è sprofondato l’insediamento preistorico.

“Tutto ciò cominciò a delineare un senso di responsabilità opportuno per il buon fine del lavoro”, dice Di Grazia. “Rivedo tutti gli esperimenti già effettuati dal Mobius Group di Los Angeles. Riprendo la mappa di Ustica, la controllo attentamente, rimanendo in assoluto silenzio, in attesa di un messaggio. Ad un tratto, è come se mi svegliassi da un sogno.

Guardo ancora la mappa, e mi accorgo che ho ridisegnato Ustica. Ma è molto più grande, si estende parecchio a Nord. E come se fossi tornato indietro di vari secoli nella preistoria dell’isola, forse addirittura alle sue origini, chiaramente vulcaniche. Mi precipito al telefono e chiamo Pippo Cappellano per avvertirlo di questo mutamento geologico nel passato di un’isola di cui non sapevo assolutamente nulla. Paolo Colantoni, geologo del CNR, ci confermerà poi queste modifiche, a causa di vulcani oggi sprofondati negli abissi. La mappa finita, sovrapposta a quella nautica, dà l’impressione che un tremendo terremoto abbia fatto slittare questi vulcani principali che apparivano chiaramente tre. Concentro allora l’attenzione sulle prime tracce di vita umana, tengo questa forma pensiero per qualche minuto, nel frattempo continuo a guardare la mappa, sentendo che il tempo corre veloce. Ed ecco che, in due località, “sento” nitidissima la presenza di un antico insediamento umano. Segno il posto e le dimensioni, quindi porto l’attenzione sul mare circostante. Sono colpito da sensazioni chiare e precise, estremamente cariche difatti emotivi. “Vedo” delle sepolture sommerse, dei relitti di navi, delle mura squadrate immerse a soli cinque metri di profondità, alcuni frammenti d’anfora”. Dopo pochi minuti, la mappa di Ustica compilata da Di Grazia offre un quadro completo di possibili ritrovamenti archeologici. Il giorno seguente tutto viene registrato dal notaio, non c’è altro da fare che portare in fondo l’esperimento. Arrivati ad Ustica dove non è mai stato, Di Grazia è affascinato dalla sua naturale bellezza e dall’aria di mistero che occhieggia dal paesaggio, un posto ancora tutto da scoprire. I dati depositati dal notaio corrispondono perfettamente, alcuni sono già conosciuti (come un centro urbano, il relitto di una nave antica all’imboccatura del porto) e altri sconosciuti: un secondo centro urbano primitivo, delle sepolture sommerse, delle mura squadrate, i relitti di due navi.

Per gli organizzatori dell’esperimento è di grande aiuto il depositario dei beni archeologici dell’isola, padre Carmelo Seminara, che offre la sua preziosa collaborazione. Ma c’è un problema il poco tempo a disposizione per verificare tutti i punti segnati da Di Grazia. Fu così che nasce l’idea di un secondo tipo di esperimento. Di Grazia dovrebbe indicare, in un tratto di mare confinante con il primo centro urbano che è conosciuto da tempo, quello che si trova nel fondo. “Sento di poter accettare la proposta”, prosegue Di Grazia, “e così, mentre il peschereccio si avvicina al posto stabilito, cerco di programmarmi. Mi siedo sulla prua e comincio a guardare il mare.

So bene che in acqua le mie facoltà vengono esasperate, me ne ero accorto da tempo durante le prime immersioni in un lago italiano dove, senza volerlo, avevo scoperto delle sepolture primitive e i resti di un mosaico. Ma ora ho poco tempo, sicché cerco di allontanare i pensieri. Mi autoconvinco di essere un tutt’uno con l’acqua, una cellula dell’universo infinito, il microcosmo nel macrocosmo. E improvvisamente mi si stagliano nitidi nella mente i particolari del fondo marino: alcuni gradini, un tunnel scavato dall’uomo, una strada stretta e delimitata da pareti di rocce concave, un unico e isolato frammento d’anfora, uno strano segno tracciato da una mano umana.

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Pippo Cappellano, che ha coordinato l’esperimento, nel luogo in cui Di Grazia ha rinvenuto la tomba a 3 metri di fondo.

Descrivo tutto ciò ai miei compagni di barca, quindi mi immergo. Seguo Di Grazia per effettuare le riprese, insieme ad un fotografo e a due operatori con una telecamera subacquea, grazie alla quale dalla barca è possibile controllare tutti i suoi movimenti.

Una volta in acqua, il sensitivo rimane fermo con le braccia aperte, mentre lentamente comincia a scendere verso il fondo. Passano dei lunghi minuti durante i quali Di Grazia non fa assolutamente niente, ma cerca soltanto di riprendere uno stato di sufficiente calma. “Poi tutto mi pare estremamente facile”, racconta Di Grazia, “e faccio segno a Pippo di seguirmi. Le rocce, con un andamento concavo, delimitano in quel punto, una specie di strada: la seguo, e poco dopo trovo tre gradini, un tunnel, uno strano segno graffiato nella roccia. Mi sposto sulla destra, dove incontro un unico frammento d’anfora, quello che avevo già descritto. Dalla barca ci giungono grida di esultanza, ognuno a modo suo manifesta il proprio entusiasmo. Io sotto, sento un voci are confuso, l’odore acuto di spezie, le grida della gente coinvolta in quella catastrofe che ventitré secoli fa portò una parte dell’isola sott’acqua”.

Che cosa c’è di vero, dunque nella mappa archeologica di Ustica redatta da Umberto Di Grazia? Forse è ancora troppo presto per dirlo. Bisogna continuare a cercare nei luoghi segnati con estrema esattezza. In mare la ricerca è sempre lenta, si è vincolati dall’aria che possiamo portare con noi e dalle lunghe decompressioni. Ma questo esperimento, questa nuova metodologia, ci ha dimostrato che la parapsicologia può fornire alla scienza ufficiale indicazioni di grande utilità.

Pippo Cappellano

NEL XIII SECOLO AVANTI CRISTO A USTICA C’ERA QUASI UNA CITTÀ

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Il faraglione della Colombara, su cui sono stati rinvenuti reperti archeologici di notevole interesse, faceva sicuramente parte integrante del villaggio i cui resti sono stati trovati in terraferma

Padre Carmelo Seminara, parroco di Ustica, è ispettore archeologico onorario dell’isola, dipendente territorialmente dalla Soprintendenza archeologica di Palermo: nella sua canonica conserva centinaia di reperti archeologici che ha rinvenuti nei più diversi luoghi dell’isola.
Tra questi reperti ce n’è di preistorici, di quelli tipici della cultura usticense, di fenici, di punici o cartaginesi, di greci e di romani, che testimoniano le varie fasi della storia delle civiltà del Mediterraneo: tutte presenti a Ustica, fin dal XIII secolo avanti Cristo. Sono mortai per frantumare i cereali, vasi di pesante terracotta per cuocere i cibi, tavole di pietra per marinare il grano, coppe per bere il vino e altri recipienti per usi sia quotidiani che funerari: a queste tipologie appartengono la maggior parte dei pezzi archeologici che Padre Seminara ha in consegna in attesa che si dia vita al museo locale, previsto nell’ambito di una torre di avvistamento appositamente restaurata.
Se in questo futuro museo venissero trasferiti i materiali rinvenuti nelle campagne di scavo che la Soprintendenza di Palermo ha condotto ad Ustica e più esattamente nel villaggio cosiddetto preistorico, negli anni 1974, 1975 e 1976, allora potremmo vedere documentata anche una realtà culturale e umana della fine del XIII secolo a.C., al quale appartengono le testimonianze archeologiche più suggestive di Ustica. Ci riferiamo ai resti del villaggio, con le sue capanne e con le mura che lo fortificavano.
Il villaggio si trova ad oriente della punta settentrionale dell’isola detta di Gorgo Salato, su una terrazza naturale che fronteggia il Faraglione della Colombara. Si estende su un’area di circa un ettaro fino al limite dell’alta scogliera. Altri resti di capanne sussistono sulla sommità del faraglione, che ha quasi la stessa altezza del villaggio sul livello del mare, 17 metri. Questa realtà archeologica e altre documentazioni di ordine geologico testimoniano che una parte dell’isola ha subito uno sprofondamento in mare per cause sismiche, lasciando superstite il faraglione con le sue poche capanne. Altri resti però sono sparsi nell’area intorno al villaggio scavato dagli archeologi: considerando l’insieme di tutte le identificazioni di tracce antiche sul terreno, si può ipotizzare che l’area totale occupata dal villaggio fosse in origine di quasi quattro ettari. Da ciò si deduce che non tanto di villaggio si trattava quanto di un vero e proprio insediamento preurbano, rivelatore dell’importanza strategica di Ustica intorno alla seconda metà del XIII secolo a.C. Non si dimentichi che l’estensione dell’intera isola è pari a 8,09 kmq di terreno, di difficile coltivazione perché in gran parte roccioso. Indizi di altri insediamenti umani sono stati individuati alla Punta dell’Omo Morto, alle Case Vecchie e allo Spalmatore.

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I resti dell’insediamento preistorico a terra potrebbero far parte di un complesso molto più grande sprofondato in mare a causa di uno slittamento del terreno esposto a nord

La fortificazione del villaggio della Colombara, superstite per circa 250 metri di perimetro, presenta delle piccole torri ogni 20 metri. La tipologia edilizia di questa fortificazione, che ricorda quella di Pantelleria, è chiamata pseudomegalitica, avendo utilizzato le cosiddette bombe vulcaniche, rinvenute sul territorio stesso di Ustica. All’interno delle mura, il villaggio appare costituito da capanne di varie dimensioni, di forma ellittica; Vi sono alcune grandi capanne a cui le altre sono spesso addossate: tanto che gli archeologi si sono posti il problema della copertura delle capanne stesse che, per la contiguità delle abitazioni, sembrerebbe non assolvere alla necessità dello scarico delle acque tra una capanna e l’altra (a parte la probabilità che tale funzione fosse risolta per mezzo di un sistema di raccolta delle acque piovane).
All’interno di queste capanne sono stati rinvenute tazze, pentole e anfore in terracotta, alcune su alti piedi tronco conici.
Somiglianze molto relative avvicinano queste tipologie ceramiche a quelle delle Eolie o della cultura di Milazzo, ma in realtà sono la prova della originalità della cultura di Ustica. Inoltre l’assenza di resti di ceramica micenea, sempre presente nelle Eolie e nel Milazzese, induce a pensare che la cultura di Ustica si sia sviluppata dopo la distruzione violenta di quella delle Eolie e che sia stata a sua volta collassata da un violento sisma: databile come s’è detto, intorno alla fine del XIII secolo a.C. Così Ustica archeologica resta un’altra delle testimonianze dell’importanza delle isole nel mondo antico, soprattutto in quello preistorico rispetto alla terraferma: quando le isole fungevano da punti di approdo sicuro per le navi che avevano ormai identificato precise linee di navigazione.

La navigazione nel Mediterraneo è infatti molto più antica di quanto si sia finora creduto: risale almeno al neolitico, a prescindere dalle flotte egizie e mesopotamiche, che già nel 3000 a.C. solcavano i mari.
Non c’è quindi da meravigliarsi che le isole venissero utilizzate dai naviganti come sicure tappe in mare aperto, essendo inoltre non esposte all’ostilità di nemici dell’interno del territorio. Dalle isole infatti che partirà la conquista della cosiddetta terra ferma.

L’Immersione sugli affascinanti fondali di Ustica permette oggi di proporre saggi di ricerca archeologica sulla parte del villaggio sprofondata in mare, a cui non si può pervenire senza una conoscenza della realtà archeologica emersa. Quest’isola appare come un felice connubio tra la rossa terra, carica di fichi d’India e di sole, e il mare azzurro e ricco paradiso dei sub.
L’apertura recente di un parco marino a Ustica fa sperare che presto vi si possa aggiungere un parco archeologico.

Alberto Manodori

IL FONDO SI SOLLEVA DA DIECIMILA ANNI

L’isola di Ustica rappresenta la sommità affiorante di un vasto e complesso apparato vulcanico, che si eleva da una piana profonda tra i 2000 e i 3000 metri. Praticamente quello che ne vediamo non è altro che la piccola cima di un grande apparato sottomarino di altezza paragonabile all’Etna.
Questo apparato vulcanico, che si estende per diversi chilometri in senso est – ovest, presenta in realtà due culminazioni maggiori, una delle quali forma appunto l’isola, mentre l’altra resta sommersa e costituisce la sommità del monte sottomarino “Anchise” (profondità minima 532 m a 16 miglia da Ustica).
La costruzione del complesso edificio vulcanico di Ustica deve essersi iniziata, in un tempo non ben precisabile, con grandi eruzioni sottomarine che, accumulandosi, portarono fino all’emersione dell’isola.

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Una rappresentazione cartografica della geologia del territorio dell’isola di Ustica e della sua posizione rispetto alla Sicilia

Negli sconvolgimenti che necessariamente ne accompagnano la nascita, alcune parti di fondale furono sollevate ed altre sprofondarono, sicché ora sull’isola si possono osservare sia lave di effusione subacquea (1e più antiche delle quali sembrano avere almeno 740 mila anni, secondo le misurazioni eseguite su isotopi radioattivi presenti nelle rocce) e sia prodotti di attività subacquea.
Non è agevole ricostruire le morfologie primitive di Ustica e seguire l’evoluzione nel tempo del complesso vulcanico, ma molte sono le forme chiare e spesso spettacolari che l’isola offre anche ad un visitatore poco attento.
Bellissimi esempi di lave sottomarine tipicamente foggiate a cuscini (pillow lava) si possono osservare per esempio sulla costa di San Paolo e in contrada Spalmatore, dove le lave hanno inglobato frequentemente sabbie e fanghi che un tempo erano sui fondali, “compattizzandoli” e cuocendoli. Questi antichi sedimenti, nei quali è possibile rinvenire resti fossili di molluschi, vengono poi ora spesso erosi e demoliti dal mare più facilmente delle rocce circostanti. Si possono formare cosi cavità naturali, alcune delle quali di grande interesse, come la Grotta Rosata e Segreta e la Grotta Azzurra.

Lave di effusione subaerea costituiscono le belle colonne dello Scoglio della Colombara, detto “il faraglione”, e le colate della costa retrostante, mentre prodotti di lancio alternati a depositi di nubi ardenti si possono osservare nella spettacolare falesia tagliata nei prodotti piroclastici del centro eruttivo della Falconiera.
I centri eruttivi riconoscibili sono tuttavia molti e, fra i principali, vanno ricordati quelli che rappresentano ora i più elevati punti dell’isola e cioè i monti Guardia dei Turchi e Costa del Fallo, la cui età (secondo i dati di Romano e Sturiale che hanno pubblicato nel 1971 il rilevamento geologico dell’isola) sarebbe più antica della formazione del cono della Falconiera. In una fase tardiva dell’evoluzione dell’apparato vulcanico si sarebbe poi verificato lo sprofondamento della parte settentrionale dell’isola, con la formazione di una depressione di tipo calderico, il cui margine settentrionale potrebbe corrispondere in parte all’attuale Secca Colombara.
In tempi relativamente recenti (circa 40.000 anni fa) il mare si trovava in tutto il globo ad un livello più alto dell’attuale di almeno 12/18 metri. A Ustica troviamo questo livello documentato da depositi di spiaggia e brecce fossilifere con faune di clima caldo a quote anche più elevate, a testimoniare anche sollevamenti della terra. Con l’ultima glaciazione, che fissò moltissima acqua nelle calotte glaciali, il mare si abbassò di almeno 130 metri (circa 15/18 mila anni fa) facendo emergere grandi estensioni di terra e sottoponendo ad erosioni in ambiente subaereo o di spiaggia zone che possiamo ora visitare in immersione. Il mare incominciò a risollevarsi di nuovo 10.000 anni fa e raggiunse lentamente il livello attuale, demolendo ancora le coste e cancellando molto delle morfologie precedenti. Le tracce di questi mutamenti sono ora sott’acqua, spesso obliterate o confuse, come i resti dell’attività e degli insediamenti di alcuni dei nostri antichi predecessori.

Paolo Colantoni

IL MARE RAPPRESENTA L’IDEALE PER UN SENSITIVO

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Di Grazia mentre indica sulle carte nautiche le coordinate dove sono poi avvenuti i ritrovamenti degli insediamenti arcaici

Umberto Di Grazia è uno dei sensitivi più noti in campo internazionale: è stato intervistato da periodici americani, inglesi, francesi e tedeschi, oltre che italiani; recentemente gli è stato dedicato il servizio centrale di “Magica”, la nuova rivista di magia e fenomeni paranormali; è apparso in diverse rubriche televisive come “Ore 20”, “3131” e “Sereno variabile”.
Nato a Viterbo ma romano d’adozione, ha 42 anni. Ha fatto il geometra, il meteorologo, il geofisico, il regista, ha scritto due libri di successo (sempre attinenti alla parapsicologia: “Dimensione Sogno” e “Universo parallelo”), è guaritore pranoterapista, insegna archeologia psichica in un centro di studi privato. Appassionato subacqueo, Di Grazia ha ora deciso di iniziare una serie di ricerche archeologiche sui fondali delle nostre coste, ponendo al servizio della scienza le sue straordinarie facoltà. A questo proposito gli abbiamo rivolto alcune domande.
Quali scoperte hai fatto nel campo archeologico? “Dal ’71 sto “esplorando” particolarmente la zona intorno a Capranica, una cittadina dell’Alto Lazio, dove ho scoperto i resti di due città preromane; inoltre a Trospadì, ho trovato un tempio votivo su cui Sta lavorando la Soprintendenza, e a Rocca Sinibalda un insediamento urbano del IV secolo a.C.

Recentemente, durante un’immersione in un lago laziale, ho captato l’esistenza di un mosaico e di alcuni vasi arcaici, gli unici di questo tipo finora recuperati in Italia”. E nel settore archeologico sottomarino? “Il grosso del lavoro lo svolgerò prossimamente. Tra l’altro, ho scoperto a Capocotta alcuni insediamenti urbani ad un chilometro dalla riva.Personalmente sono molto interessato al mare, tant’è vero che negli Stati Uniti sono entrato in contatto con alcune organizzazioni specializzate in questo campo per istituire un centro di recupero mobile per l’archeologia sottomarina”.

Che cos’è la sensitività? “Con questo termine si indica abitualmente la capacità di utilizzare quei sensi che comunemente non vengono sfruttati. E grazie alla sensitività che si possono in vario modo ottenere immagini, telepatie o precognizioni. Nel caso del Mobius l’indagine è partita dalle mappe: ogni sensitivo, infatti, si può mettere in contatto con l’oggetto della sua ricerca attraverso carte, foto o reperti.
Non c’è una regola fissa in questo campo, tutto è ancora da esplorare. Posso però dirti con sicurezza che queste doti sono in possesso di tutti noi. Attualmente io sto seguendo alcuni bambini prodigio che sono veramente incredibili, essendo in grado di “vedere” cose o prevedere situazioni che di solito sfuggono alla maggior parte di coloro che non si interessano alla propria paranormalità. E sempre con sicurezza ti posso anche dire che sott’acqua queste percezioni sono, per così dire, “amplificate”.

Per me è facile comprendere le istruzioni di qualcuno che si trova sott’acqua, accanto a me, proprio attraverso la telepatia. L’acqua è fluida, è come il grembo materno. E noi, proprio come nel grembo materno, possiamo comunicare, possiamo intuire, ma non possiamo parlare. Per questo ritengo che il mare sia l’ambiente migliore per sfruttare le doti di un sensitivo. Come un qualsiasi sub, anch’io vado sott’acqua assaporandone ogni volta la gioia, ma in ogni immersione vengo attivato da qualcosa. E’ come un richiamo, un messaggio, che mi viene dalla presenza di oggetti d’interesse archeologico. Posso talvolta individuare l’ambiente in cui si trovano, o quasi vedere le persone a cui sono appartenuti, tracciarne le storie in immagini senza tempo che non sono creazioni, ma piuttosto intuizioni della mia mente. Proprio con lo stesso sistema qualche tempo fa è stato scoperto in Egitto il palazzo di Cleopatra, dove presumibilmente si uccise Marco Antonio.

Come vedi c’è ancora molto da fare nel campo dell’archeologia psichica, si tratta di una frontiera ancora inesplorata. Soprattutto in Italia si potrebbero effettuare molte ricerche su reperti e relitti sottomarini che il tempo e la sabbia hanno occultato all’archeologia tradizionale e che solo il caso potrebbe riportare alla luce”.

Maurizio Marazzi

 

PLUTO, 007 SUBACQUEO

vedoantico3b“Pluto” (in foto) è un robot sottomarino, costruito interamente in Italia, frutto di una tecnologia raffinatissima. Misura un metro e sessanta di lunghezza, pesa 130 kg e può scendere a una profondità di 300 metri (presto saranno 500) con una autonomia di sei ore.
“Pluto” è alimentato con batterie e nel suo rosso testone orientabile trovano alloggio due telecamere, una cinepresa da 16 mm e una macchina fotografica. Come ogni cagnolino che si rispetti, “Pluto” scende sott’acqua alla velocità massima di quattro nodi, è legato con un guinzaglio lungo 500 metri, e può essere guidato molto facilmente dalla nave appoggio dove è installata la consolle con i monitor televisivi a colori e in bianco e nero. “Pluto”, discendente del robot “Pippo” a forma di sfera, è stato presentato ufficialmente ad Ustica nel corso della 25.ma Rassegna Internazionale dell’Attività Subacquea e ha suscitato grande interesse fra gli addetti ai lavori. La nave da guerra francese “Isard”, ospite della manifestazione, ha preso a bordo “Pluto”, le autorità (facendo echeggiare i tradizionali fischi di saluto) e i rappresentanti della stampa per una spettacolare dimostrazione subacquea nella riserva marina. “Pluto”, che una volta in acqua è senza peso, ha rimandato sull'”Isard” le immagini in diretta dei trasparenti fondali di Ustica con una fedeltà straordinaria. Silenzioso e maneggevolissimo, il robot è entrato in grotte sommerse, ha filmato pesci (per nulla spaventati), alghe e spugne variopinte, ricci e formazioni coralline per la gioia dei biologi dell’Università di Palermo che ora hanno a disposizione una nuova, aggiornatissima mappa televisiva del parco sottomarino. Ad un certo momento il robot era rimasto impigliato in una vecchia rete. Niente paura, i sommozzatori hanno risolto subito il problema liberando “Pluto” che, nel frattempo, era rimasto immobile e in assetto costante grazie alle cinque eliche direzionali.

L’ingegner Guido Gay, progettista e costruttore del piccolo sottomarino automatico, ne ha precisato le possibilità d’impiego: “Non vi nascondo che per il momento le più interessate a “Pluto” sono le marine militari. “Pluto” infatti può trasformarsi in cacciatore di spie, e considerando che può trasportare fino a 40 kg di esplosivo, può diventare un pericoloso incursore. Se gli svedesi avessero potuto disporre di un robot come questo, non so come se la sarebbero cavata i sommergibili russi.” E per quanto concerne le applicazioni civili? “Sono molteplici. “Pluto” può essere usato per le ricerche oceanografiche, nel controllo degli ancoraggi e delle installazioni subacquee, nell’assistenza ai sommozzatori, per le ricerche archeologiche e petrolifere. Stiamo già studiando la possibilità di dotare il robot di un braccio meccanico che servirà a raccogliere campioni e in genere a compiere lavori subacquei”. Il robot, comunque, non è coperto dal segreto militare. “Certo, altrimenti non lo avremmo presentato a Ustica. Noi della Gaymarine possiamo venderlo a chiunque, ma ci siamo imposti di non prendere in considerazione eventuali commesse dalla Libia e dai paesi dell’Est”. A parte il braccio meccanico, state studiando altre modifiche? “Naturalmente.

Il cavo che trattiene “Pluto” e che serve per trasmettere gli impulsi e ricevere il segnale televisivo potrà essere lungo fino a 1.500 metri. Inoltre il robot potrà funzionare autonomamente, grazie ad un minicomputer opportunamente programmato.” Sono, queste, le nuove frontiere dell’attività sottomarina: l’uomo delega il robot a svolgere compiti difficili e rischiosi riservando a se stesso lo studio e la programmazione. “Pluto”, cane automatico di lusso, costa 500 milioni: non abbaia, non scodinzola quando vede il padrone ma è piaciuto subito a tutti. E in modo particolare a Mondo Sommerso per l’esperimento con il sensitivo Umberto Di Grazia.

Franco M. Missiroli

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Pippo Cappellano riprende con l’Arriflex il “Pluto” che è pilotato secondo le indicazioni di Di Grazia.


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